Compleanno sul trenino per il leader nordcoreano Kim Jong-un, in missione in Cina fino a domani su invito del presidente Xi Jinping: il convoglio di Kim, costituito da tre treni – prima la sicurezza, poi i viaggiatori, infine i bagagli e l’intendenza – aveva passato lunedì il confine di Dandong e ieri, nella tarda mattinata, è arrivato alla stazione Nord di Pechino.
Tra servizi di sicurezza rafforzati sui binari e sulle piattaforme, un lungo corteo di auto è poi partito per la residenza degli ospiti di Stato, la Diaoyutai, a ovest della capitale. Con Kim, che ieri compiva 35 anni, c’è la first lady Ri Sol-ju e un nugolo di funzionari.
Il treno verde è lo stesso, o almeno è dello stesso tipo, già utilizzato in passato dal nonno e dal padre di Kim, rampollo dell’unica dinastia comunista di questa Terra: vetri oscurati, vagoni blindati, velocità ridotta – 60 km/h al massimo – causa l’enorme peso (il che, in fondo, riduce la sicurezza). Aerei ed elicotteri scortano il leader in viaggio, che può contare su stazioni esclusive, una ventina, lungo ogni percorso interno.
La visita è stata ufficialmente annunciata dall’agenzia Nuova Cina e confermata dall’agenzia Kcna. E’ la quarta volta che il dittatore di Pyongyang va in Cina, dopo le tre missioni fatte lo scorso anno tra fine marzo e fine giugno: le prime due precedettero rispettivamente il Vertice inter-coreano d’aprile con il presidente sudcoreano Moon Jae-in e quello con il presidente Usa Donald Trump, in giugno a Singapore. Come se Kim andasse ogni volta a prendere ordini, o consigli, a Pechino e poi tornasse a riferire.
Ora, lo scenario pare ripetersi: Stati Uniti e Corea del Nord stanno preparando un secondo incontro Trump – Kim, questa volta forse in Vietnam, ad Hanoi, visto che, dopo il primo, enfatizzato come ‘storico’, nulla è successo a livello pratico: la minaccia nucleare nord-coreana è rimasta inalterata, anche se Kim la strombazza di meno, e le sanzioni americane e internazionali pure. Ad Hanoi, si sono già incontrati emissari delle due parti per preparare il prossimo Vertice, forse in primavera.
Il legame, diplomatico, ma non solo, tra Pyongyang e Pechino indica che, malgrado Trump s’atteggi ad ‘amicone’ di Kim, che solo un anno fa nei tweet presidenziali era ‘ciccio bomba’ e ‘rocket man’, la Cina resta l’interlocutore privilegiato della Corea del Nord, un po’ mentore e un po’ garante, oltre che fornitore e benefattore.
La missione in Cina di Kim è seguita con molta attenzione dagli Stati Uniti, i cui responsabili esteri, il segretario di Stato Mike Pompeo e il consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton, sono ora impegnati a contenere in Medio Oriente i danni provocati dagli annunci del presidente sul ritiro delle truppe dalla Siria e –parzialmente- dall’Afghanistan. Sulla scena mondiale 2019, il Vertice bis Trump – Kim appare la carta giocabile con minori rischi, rispetto alla partita sul nucleare con l’Iran, alla corsa al riarmo con la Russia e ai negoziati commerciali con la Cina.
Bolton, che non è un moderato, avrebbe convinto Trump, se non a fare marcia indietro, ad andarci cauto nel venire via dalla Siria, cercando di salvaguardare tre obiettivi così sintetizzati dal senatore Lindsey Graham, repubblicano, uno specialista di sicurezza: “Impedire all’Iran di controllare i pozzi di petrolio siriani; non consentire ai turchi di massacrare i curdi; e non permettere al sedicente Stato islamico, l’Isis, di risorgere”, come certi segnali indicano stia facendo – in un’azione, ieri, in Siria gli integralisti hanno ucciso 32 miliziani curdi -.
Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan è stato rassicurante, con Bolton: ci pensano i suoi soldati a sostenere “il pesante compito” di combattere i miliziani e tutti gli altri terroristi che infestano l’area – leggasi, i curdi -. A sentirlo, Bolton, invece di rasserenarsi, s’è ulteriormente preoccupato.