Tattiche italiche anti-shutdown nel Congresso americano, che da domani cambia pelle: giovedì 3 gennaio, infatti, Camera e Senato tornano a riunirsi sul Campidoglio di Washington, ma nella formazione scaturita dal voto di midterm del 6 novembre. In maggioranza alla Camera, i democratici stanno preparando una trappola – scrive il New York Times – in cui sperano che il presidente Donald Trump cada. Ma il gioco è forse troppo scoperto per riuscire. Tanto più che Trump non si cura mai dei dettagli: dopo avere annunciato il ritiro di tutte le truppe dalla Siria subito, cioè in due mesi, adesso, senza battere ciglio, dice che ce ne vorranno quattro.
E mentre l’Unione entra nella seconda settimana dello shutdown, cioè la serrata degli uffici federali, i candidati alla nomination democratica per Usa 2020 cominciano a schierarsi ai nastri di partenza: la senatrice del Massachusetts Elisabeth Warren, un’icona dell’America liberal, scende in campo, dopo il deputato del New Jersey John Delaney, uno sconosciuto probabilmente destinato a restare tale, che ha dichiarato le sue ambizioni presidenziali già il 28 luglio 2017. Delaney sarebbe il primo presidente calvo nella storia degli Stati Uniti: il che amplifica statisticamente le sue possibilità.
La Warren, che nel 2016 non scese in lizza per non scontrarsi con Hillary Clinton, vuole ora creare un comitato esplorativo delle sue chances, una mossa che di solito precede l’annuncio vero e proprio di una candidatura. La senatrice, che Wall Street vede come il fumo negli occhi, è la prima a muoversi tra i principali candidati potenziali democratici, un gruppo molto numeroso e ancora magmatico, dove ci sono dinosauri della politica come Joe Biden, la stessa Clinton, Bernie Sanders e volti nuovi come Kamala Harris, Cory Booker e Beto Rourke – ma sono elenchi non esaustivi -, senza contare i miliardari politicamente ermafroditi alla Michael Bloomberg.
“La middle class americana è sotto attacco”, dice la Warren nel video in cui annuncia il suo passo. “Come ci siamo arrivati? I miliardari e le grandi compagnie hanno deciso che volevano una fetta più grossa della torta e hanno ingaggiato degli uomini politici perché gliela tagliassero”. Lei si sente (ed è) al di sopra di ogni sospetto, ma buona parte dell’establishment democratico non lo è.
Proprio due ‘lupi grigi’ democratici della politica americana, Nancy Pelosi, californiana, 79 anni, leader alla Camera e da domani di nuovo speaker, e Chuck Schumer, newyorchese, 68 anni, leader al Senato, hanno elaborato la proposta trappola per l’Amministrazione Trump: consentire la fine dello shutdown destinando al Dipartimento della Sicurezza interna nuovi fondi – e quindi consentendo di finanziare il muro al confine con il Messico –, però tagliando misure che godono d’un sostegno bipartisan.
In tal modo, il presidente sarà finalmente costretto a negoziare: se accetta il trasferimenti di fondi, infatti, si mette contro buona parte dei congressman repubblicani; se non lo accetta, s’accolla tutta la responsabilità di proseguire lo shutdown. Ma il progetto democratico appare machiavellico e opaco: l’opinione pubblica rischia di esserne più infastidita che convinta.
Il ‘piano Pelosi-Schumer’ s’articola in due leggi, che domani saranno messe ai voti. La prima prevede che sei programmi di spesa bipartisan siano usati, invece che ai fini previsti, per finanziare la sicurezza alle frontiere; la seconda proroga i fondi del Dipartimento della Sicurezza interna fino all’8 febbraio, con una previsione di spesa per una barriera al confine con il Messico – 1,3 miliardi di dollari -, ma non per il muro – Trump chiede cinque miliardi di dollari -. Entrambe le proposte non hanno però possibilità di passare in Senato, dove i repubblicani restano maggioranza.
Lo shutdown colpisce 800 mila dipendenti federali rimasti senza stipendio, 420 mila dei quali sono lo stesso chiamati a lavorare perché considerati essenziali, Un sindacato di categoria ha fatto causa all’Amministrazione Trump proprio perché obbliga i dipendenti a lavorare senza retribuzione. L’American Federation of Government Employees (Agfe) ritiene che l’Amministrazione stia così violando la legge, in particolare il Fair Labor Standards Act.