Uno sganassone all’Arabia saudita e uno al principe ereditario Mohammad bin Salman, alias Mbs. E due moniti al presidente Usa Donald Trump, che, per amore d’affari con Riad, ignora i rapporti della Cia sulle responsabilità di Mbs nell’omicidio del giornalista e oppositore Jamal Khashoggi. Il Senato degli Stati Uniti ha approvato una risoluzione di condanna del principe ereditario saudita, ritenuto “responsabile” dell’omicidio avvenuto, con modalità raccapriccianti, nel consolato saudita di Istanbul il 2 ottobre. Khashoggi viveva negli Usa ed era un opinionista del Washington Post.
Con 56 voti a favore e 41 contro, i senatori hanno anche approvato una risoluzione per mettere fine al sostegno militare americano all’Arabia Saudita nella guerra in Yemen, un conflitto combattuto con armi occidentali, fra cui bombe italiane, da una coalizione internazionale sunnita contro insorti sciiti locali, gli Houthi. Il conflitto, che va avanti dal 2014, ha fatto migliaia di vittime fra i civili e ha causato una grave carestia, di cui la popolazione sta soffrendo.
Una decina di repubblicani hanno votato con i democratici o non erano presenti in aula. L’iniziativa anti-saudita sarà discussa anche alla Camera, ma non prima di gennaio, quando s’insedierà il nuovo Congresso uscito dal voto di midterm del 6 novembre – alla Camera, i democratici saranno allora maggioranza -. E’ però probabile che la mossa del Congresso resti senza conseguenze: il presidente può, infatti, vanificarla, ponendo il veto; e Trump ha più volte espresso sostegno a Riad che compra armi agli Usa per oltre cento miliardi di dollari in dieci anni ed è alleata di Washington (e d’Israele) nel contenere l’Iran.
Il voto del Senato degli Stati Uniti coincide con l’annuncio di fonti Onu d’un patto tra la coalizione a guida saudita e gli Houthi: le truppe degli uni e degli altri lasciano la città portuale di Hudaydah, un centro cruciale nello scacchiere bellico, e instaurano un cessate-il-fuoco in tutto la provincia. E’ forse un passo verso una soluzione politica del sanguinoso conflitto, che potrebbe persino sfociare in una nuova spaccatura del Paese, fino al 1990 diviso tra Nord e Sud. Con i sauditi ci sono emiratini, egiziani e altri; i ribelli hanno l’appoggio dell’Iran.
L’ostilità del Senato nei confronti della condiscendenza di Trump verso Mbs era già emersa quando i senatori della Commissione Intelligence avevano preso visione delle prove raccolte dalla Cia sulle connivenze del principe saudita nell’efferato omicidio. “Una giuria lo condannerebbe in mezz’ora”, era stato un lapidario commento. Invece, Trump, sulla base delle stesse prove, dice che non si può escludere che Mbs non sapesse nulla dell’assassinio e che, comunque, i rapporti tra Stati Uniti ed Arabia saudita non sono in discussione.
Al Vertice del G20 a Buenos Aires, a fine novembre, il presidente Trump aveva però evitato d’incrociare il cammino e lo sguardo con il principe saudita, che non era stato invece evitato né dal presidente russo Vladimir Putin né da alcuni leader occidentali, fra cui il presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte.
E la grana con il Senato non è l’unico guaio del presidente Trump in queste ore. La condanna a tre anni del suo ex avvocato personale Michael Cohen e le mosse del procuratore speciale Robert Mueller danno l’impressione che il cerchio del Russiagate, l’inchiesta sulle mene del Cremlino per favorire nel 2016 l’elezione del magnate, si stia stringendo. Trump polemizza con Cohen e sostiene di non averlo autorizzato a violare la legge pagando in nero una pornodiva e una coniglietta perché tacessero sulle sue ‘scappatelle’. Ma Cohen insiste: Trump sapeva che i quei pagamenti erano sbagliati, “Sono stato leale con qualcuno che, sinceramente, non merita lealta’”.
Trump deve pure colmare il vuoto creato alla Casa Bianca dall’uscita di scena del capo dello staff John Kelly. Ai nomi che già circolano si sono aggiunti nelle ultime ore quello dell’ex governatore del New Jersey Chris Christie, candidato mancato a tutti i posti liberi nell’Amministrazione Trump da due anni a questa parte, e di David Bossie, già vice-manager della campagna elettorale, mentre, dopo Nick Ayers, sarebbe uscito di scena anche l’altro favorito, il deputato Mark Meadows. E forse il presidente pensa al ‘primo genero’, Jared Kushner.
A casa Trump, non gira bene neppure per Melania, la first lady, la cui popolarità è in caduta libera: un sondaggio della Cnn la segnala al 43% dal 54% nei favori degli americani. Il punto più basso dall’insediamento, complici forse le prepotenze alla Casa Bianca attribuite all’ex modella slovena.