E’ una partita europea, non solo tedesca, quella che, fra una settimana, si giocherà ad Amburgo, dove il congresso della Cdu sceglierà il successore di Angela Merkel alla guida del partito, che, nonostante recenti risultati elettorali non brillanti, è pur sempre la forza di maggioranza relativa della politica tedesca.
Lasciando la guida del partito, la Merkel inizia la sua uscita dalla scena politica: un percorso che potrebbe protrarsi fino alle elezioni federali dell’autunno 2021, quando la ‘Mutti’ esaurirà il suo quarto mandato alla testa del governo tedesco; ma che potrebbe pure subire accelerazioni, se turbolenze interne dovessero indurla a rinunciare alla cancelleria prima del termine.
Nell’Ue, c’è chi fa il tifo perché ciò avvenga presto, nel giro di un anno, così che la Merkel si renda disponibile per uno degli incarichi europei che saranno rinnovati l’anno prossimo: la presidenza della Commissione europea o, più credibilmente, la presidenza del Consiglio europeo, il consesso dei leader dei 27. Chi oserebbe bollare come eurocrate la Merkel?, o sminuirne la statura politica? Gli epiteti toccati a Jean-Claude Juncker, per 18 anni presidente del Consiglio lussemburghese, e a Donald Tusk, per sette anni premier polacco, non potrebbero sfiorare la cancelliera tedesca di più lungo corso dopo Helmut Kohl.
La Merkel, per ora, si schernisce e forse è sincera. Però, le scelte della Cdu e i risultati elettorali tedeschi hanno comunque un peso sulle nomine europee dell’anno prossimo. Il Partito popolare europeo, la famiglia politica di maggioranza relativa nel Parlamento europeo, 218 seggi su 751, ed il Partito socialista europeo, 188 seggi – insieme, fanno la maggioranza assoluta -, hanno già espresso i loro candidati alla presidenza della Commissione europea: un tedesco, Manfred Weber – la Germania non occupa quel posto dal 1967, quando terminò il mandato di Walter Hallstein -; ed un olandese, Frans Timmermans, ex ministro degli esteri.
Weber, un parlamentare europeo, ma molto vicino alla Merkel, è uscito politicamente indebolito dall’arretramento del suo partito, la Csu, nelle elezioni bavaresi; Timmermans un vice-presidente della Commissione, ha visto la sua immagine di astro nascente della politica europea appannarsi negli ultimi anni.
Però, non è affatto detto che popolari e socialisti faranno ancora maggioranza da soli nel prossimo Parlamento europeo e potranno spartirsi i posti: per eleggere un presidente della Commissione espressione delle forze europeiste dovranno forse allearsi con i liberali o con i verdi. Ecco, allora, salire le chances di Guy Verhostadt, ex premier belga, leader liberale, o della tostissima danese Margrethe Vestager, commissaria alla concorrenza.
Se i tedeschi non avranno la Commissione e non metteranno in corsa la Merkel per il Consiglio, potranno reclamare la presidenza della Banca centrale europea, che non hanno mai avuta. Il che fa emergere un dato: non si sa chi vincerà il gioco delle poltrone europee 2019, ma si sa chi ne uscirà sconfitto. L’Italia, che ora ha ben tre dei posti più ambiti (la Bce con Mario Draghi, il ‘ministro degli Esteri’ con Federica Mogherini e la presidenza del Parlamento con Antonio Tajani), potrebbe ritrovarsi con un commissario di seconda schiera e basta. Anche se Tajani punta alla conferma.