Donald Trump diventa il protagonista solo nel quarto, e ultimo, episodio della ‘mini-serie’ tv Showtime ‘Enemies: The President, Justice & The Fbi’, che gli Stati Uniti hanno scoperto domenica sera, all’inizio della settimana della Festa del Ringraziamento, quando il cuore dell’Unione pulsa sotto ritmo e tutti pensano al tacchino di giovedì in famiglia e alla partita di football nel pomeriggio. Ma, senza Trump, la ‘mini-serie’ di Showtime non sarebbe mai nata: lo spunto e il pretesto per questo documentario romanzato attraverso i contrasti che, nel tempo, hanno opposto Casa Bianca, magistratura e polizia federale è la guerra che il magnate conduce ai ‘g-men’ (e viceversa): conflitto che ‘The Daily Beast’ giudica “senza precedenti, pericoloso e una minaccia per la democrazia”.
Significativamente, ma anche un po’ scontatamente, il quarto episodio della ‘mini-serie’ di Showtime s’intitola ‘You’re fired’, cioè ‘Sei licenziato’, dal reality televisivo condotto per molti anni dallo ‘showman’ ora presidente, e s’articola intorno al modo in cui Trump si sbarazzò, nel 2017, di Jim Comey, il direttore dell’Fbi che non voleva saperne di ammorbidire le indagini sul Russiagate, l’intreccio di contatti tra la campagna di Trump ed emissari del Cremlino, prima e immediatamente dopo le presidenziali 2016.
L’episodio finale di ‘Enemies’ è programmato il 9 dicembre, ma lo script non è ancora definitivo: nelle tre settimane di qui ad allora, ci si aspettano sussulti nel Russiagate, che, dopo essere entrato in una fase carsica durante la campagna per il voto di midterm, torna a vibrare di sviluppi e indiscrezioni. E il presidente è tentato di mettere il bastone fra le ruote al procuratore speciale Robert Mueller, che conduce l’inchiesta.
Lui non interverrà – assicura Trump alla Fox –, se il suo segretario alla Giustizia ‘ad interim’ Matthew Whittaker dovesse intromettersi nel lavoro di Mueller e intralciarlo. C’è chi pensa che Whittaker sia stato messo lì proprio per questo, tant’è che tre senatori democratici hanno avviato un’azione legale per fare dichiarare “incostituzionale” la nomina, non confermata dal Senato.
Whittaker è stato designato ‘pro tempore’, dopo le dimissioni, platealmente sollecitate da Trump, di Jeff Sessions, ma il presidente non ha fretta di designare il nuovo segretario, perché Whittaker gli dà garanzie. Pure repubblicani come Lindsay Graham, senatore della Florida, considerano la chiusura dell’ionchiesta “un disastro per il partito”, in proiezione 2020, e chiedono che non avvenga.
Per il momento Whittaker afferma che le indagini di Mueller vanno avanti, ma Trump non perde occasione per delegittimare l’azione del procuratore speciale, il cui lavoro sarebbe “nel caos totale”, nonostante abbia acquisito collaboratori eccellenti come l’ex legale del presidente Michael Cohen – quello che comprava con soldi in nero il silenzio di amichette di Trump -, l’ex capo della campagna Paul Manafort e il suo ex numero due Rick Gates. Indiscrezioni che circolano a Washington dicono che Mueller starebbe per emettere nuovi rinvii a giudizio; ma non trova nessuna conferma la voce, già messa in circolazione sotto forma dubitativa da Politico.com a fine ottobre, che il procuratore abbia già citato il presidente.
Trump, intanto, esclude di sottoporsi a interrogatorio: il presidente ha già risposto a domande scritte del procuratore – le risposte stanno per essere trasmesse – e ritiene chiuso qui il suo coinvolgimento nell’indagine. Rudolph Giuliani, il capo della squadra di legali di Trump, lascia planare il sospetto che le domande di Mueller contenessero “trappole”.
Un’incriminazione del presidente aprirebbe la via a un’ipotesi di impeachment che reggerebbe, politicamente, dopo l’insediamento a gennaio della nuova Camera, a maggioranza democratica. Ma la strada per arrivarci, se mai sarà percorsa, è ancora lunga. E se la Camera può avviare la procura, il giudizio spetta al Senato, che è sempre repubblicano.