Fino a un’ora prima dell’inizio della Conferenza sulla Libia di Palermo, ieri sera, non c’era ancora una lista dei partecipanti. Il problema non erano tanto i 30 Paesi presenti, di cui 10 a livello di capi di Stato e di governo e una ventina con ministri o vice-ministri, quanto le delegazioni libiche: difficile mettere insieme i leader delle fazioni che da anni s’affrontano nel Paese, spesso in armi.
Organizzando la Conferenza, intitolata “per la Libia e con la Libia”, l’Italia cerca di fare in modo che i libici possano decidere il proprio futuro, dialogando da posizioni fra loro lontane. Ma l’esito dell’operazione resta incerto; e il successo non è certo facilitato dalle frizioni internazionali, anche fra europei, specie fra Italia e Francia. Palermo ha accolto il Vertice libico con cortei e proteste.
L’arrivo del generale Khalifa Haftar, l’uomo forte della Cirenaica, è rimasto incerto fino all’ultimo. Domenica, sembrava che non venisse, adducendo palesi scuse – la presenza del Qatar, che secondo altri Paesi arabi foraggia il terrorismo, e d’una fazione vicina ad al Qaida -; poi è arrivato, si dice dopo “forti pressioni” del presidente egiziano AbdelFatah al-Sisi, suo referente.
Il capo del Governo di unità nazionale, ‘sponsorizzato’ dall’Onu, Fayez al-Sarraj, era già a Palermo nel pomeriggio, mentre domenica erano arrivati altri tre protagonisti di primo piano dei fronti libici: il presidente del Parlamento di Tobruk, Aguila Saleh, il capo dell’Alto Consiglio di Stato di Tripoli, Khaled al Meshri, e il vice-premier di Sarraj, Ahmed Maitig, rappresentante le milizie di Misurata – in settimana, Maitig era stato a Parigi -..
Ma fra tanta gente che arriva, c’è anche chi se ne va: Ali Saidi, deputato della Camera di Tobruk, numero due nella delegazione guidata dal presidente Saleh, molto vicino al generale Haftar, fa sapere a Lybia 24 che “restare è inutile”, perché non vuole “essere falso testimone” del suo Paese, dopo avere scoperto – spiega – “i veri fini della Conferenza”, da lui definita “una sceneggiata”.
L’arrivo di Haftar conferma l’ottimismo del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, artefice, insieme al ministro degli Esteri Enzo Moavero, di questo appuntamento, preparato ricevendo a Palazzo Chigi il premier al Sarraj e il generale Haftar e con le missioni a Washington e a Mosca.
Per gli Usa c’è solo l’inviato per il Medio Oriente David Satterfield; invece, per la Russia addirittura il premier Dmitri Medvedev. La Francia, che non vuole mostrarsi ostile, ha il ministro degli Esteri Jean-Yves Le Drian. I Paesi limitrofi della Libia e i ‘mediterranei’ Grecia e Malta sono tutti presenti al massimo livello. E poi ci sono le organizzazioni internazionali.
Ancora ieri mattina, Conte diceva: “Mi aspetto che Haftar sia presente”, anche se “la sua visione non è certamente coincidente con quella di al Sarraj”. E il premier aveva ragione. Però, l’incertezza su modi e tempi dei lavori e sulle conclusioni conferma quanto sia ingarbugliata la matassa libica. Prima dell’inizio della conferenza, tutti hanno avuto incontri bilaterali con Ghassam Salamé, l’inviato dell’Onu in Libia che sta tessendo la tela per una nuova ‘roadmap’ verso la stabilizzazione ed elezioni.
Dopo la cena, il premier Conte ha intessuto contatti bilaterali, con Haftar e con altri. Ma l’ipotesi d’un ‘mini-vertice’ a latere della Conferenza, Conte, Haftar, al-Sisi e Niger, Malì, Russia, è stata smentita. Che cosa verrà fuori oggi a Palermo? Le previsioni sono aleatorie, in uno scenario così fragile.
Roberto Aliboni, forse il massimo esperto di Libia italiano, non esclude che la Conferenza si riveli, “nel contesto di una crisi libica sempre più aggrovigliata”, “n maldestro sviluppo della politica estera italiana”. Ma se è “davvero improbabile” che la Conferenza “metta insieme i fattori necessari a un’azione politico-diplomatica che aiuti la stabilizzazione della Libia”, è invece legittimo attendersi, specie da parte del governo italiano, di riuscire a gettare i semi d’una qualche maggiore intesa interna. Sarebbe “un risultato piccolo, ma utile”; e l’Italia ne vedrebbe aumentato lo ‘spazio di manovra’ di cui dispone.