In queste ore, Robert Mueller sfoglia l’album delle figurine delle spie russe d’ogni genere, emissari del Cremlino, ma anche doppiogiochisti e millantatori, che ha riempito in oltre un anno d’inchiesta sul Russiagate, cioè sull’intreccio di contatti con Mosca che la campagna di Trump ebbe nel 2016, prima e subito dopo le elezioni presidenziali.
L’attenzione, ora, sarebbe puntata – scrive il Guardian – su Konstantin Kilimnik, 48 anni, un russo che avrebbe avuto legami con l’intelligence moscovita e con i servizi segreti miliari e che poteva disporre del jet privato d’un oligarca vicino a Vladimir Putin. Kilimnik era socio in affari di quel Paul Manafort capo della campagna di Trump fino a metà 2016 e già indagato e condannato: faceva il lobbista per potenze straniere – l’Ucraina filo-russa del presidente Yanukovich -, contravvenendo alle regole Usa.
Manafort adesso collabora all’inchiesta di Mueller e ha fornito informazioni utili a incriminare l’ex partner per avere minacciato un testimone e per avere illegalmente foraggiato con 50 mila dollari d’un ricco ucraino il fondo per le cerimonie d’insediamento alla presidenza di Trump. Kilimnik avrebbe pure avuto le mani in pasta nel tentativo di Manafort di sfruttare la sua vicinanza a Trump per regolare un debito multi-milionario con l’ex cliente Oleg Deripaska, un oligarca amico di Putin. Alle indagini collaborano pure l’ex vice di Manafort, Rick Gates, e il lobbista Sam Patten.
Kilimnik è solo l’’ultimo russo in ordine di tempo a comparire nel Russiagate, in cui si sono già trovati impigliati a vario titolo l’ex ambasciatore russo a Washington Sergey Kislyak, protagonista nel 2016 d’incontri ravvicinati con l’ inner circle’ dell’allora candidato Trump; l’avvocatessa Natalia Veselnitskaya che fu ricevuta da Donald jr e vari altri alla Trump Tower, promettendo informazioni compromettenti su Hillary Clinton; l’inquietante siberiana Mariia Butina, giovane, rossa di capelli, capace d’infiltrare la Nra, di avvicinare governatori e lo stesso Trump; e ancora Alexander Torshin, vice-governatore della Banca centrale russa, che incontrò Donald Jr a una cena alla convention della Nra del 2016 – da aprile, il banchiere è oggetto di sanzioni -.
Resta da vedere se questo guazzabuglio d’incontri e personaggi, nessuno al di sopra d’ogni sospetto, consentirà al procuratore Mueller di formulare capi d’accusa solidi per compromettere il presidente ed esporlo all’impeachment. E’ una corsa contro il tempo, perché Trump e il suo nuovo ministro della Giustizia ‘pro tempore’, Matthew Whitaker, lavorano per affossare il Russiagate.
In difesa di Mueller e della sua inchiesta, centinaia di americani sono scesi nelle strade, l’altra notte, a New York e in diverse altre città, per chiedere che le indagini sul Russiagate siano tutelate. Silurando il segretario alla Giustizia Jeff Sessions e sostituendolo con un ‘falco’, Trump rende possibile un ‘blitz’ contro il procuratore: Whitaker non intende affatto tenersi fuori dal Russiagate, che, anzi, ha più volte criticato negli ultimi mesi.
Impegnato nell’ennesima guerra con media e giornalisti, il presidente assicura di non avere mai parlato con Whittaker del Russiagate: l’affermazione è talmente inverosimile che, forse, non ci crede neppure lui. “Whitaker – dice Trump – è molto rispettato: chi ne critica la scelta si sarebbe opposto a chiunque io avessi scelto”.
Le voci di siluramento di Mueller e di ostruzione all’inchiesta, con lo spettro dell’impeachment sullo sfondo, suscitano preoccupazioni negli ambienti politici. I democratici si preparano a fare argine; il leader dei repubblicani al Senato Mitch McConnell gioca al pompiere: “Mueller potrà finire il suo lavoro”, assicura.
Ma i guai giudiziari del magnate presidente non sono solo il Russiagate. Gli inquirenti avrebbero le prove – scrive il WSJ – che Trump sarebbe stato coinvolto nei pagamenti in nero alla pornostar Stormy Daniels e all’ex coniglietta di Playboy, Karen McDougal, perché tenessero la bocca chiusa sulle sue ‘scappatelle’. Potrebbe configurarsi una violazione delle norme federali sul finanziamento della campagna elettorale.
Whitaker, dal canto suo, dedica le sue prime ore da segretario alla Giustizia non al Russiagate, ma all’emigrazione, fronte su cui il presidente è molto impegnato: insieme a Kirstijen Nielsen, responsabile della sicurezza interna, afferma che ”il sistema di asilo è sopraffatto da troppe richieste senza merito da parte di stranieri che mettono sotto enorme pressione le nostre risorse, impedendoci di badare rapidamente a chi lo merita veramente”. Ok, dunque, al giro di vite sulle richieste di asilo predisposto da Trump, insieme ad altri freni agli ingressi negli Stati Uniti.