Qualunque sia l’esito del voto di midterm, la seconda metà del mandato di Donald Trump sarà molto diversa dalla prima: diversa la squadra del presidente – previo un bel rimpasto -, diversi gli interlocutori in Congresso, oltre che mutati i rapporti di forza con Camera e Senato. S’appresta, ad esempio, a uscire di scena Paul Ryan, speaker della Camera, la voce della coscienza dei conservatori non moderati ma tradizionalisti, che aveva la tendenza a mettersi di traverso più che ad assecondare Trump. Ryan non s’è ripresentato: c’è chi lo vede antagonista del presidente, per la nomination repubblicana 2020.
La seconda metà del mandato presidenziale sarà, nella sostanza, più breve della prima. Fra 15 mesi, dal gennaio del 2020, Trump dovrà preoccuparsi di fare campagna per le primarie: è probabile che – Ryan o altri – un qualche avversario gli si pari dinanzi per la nomination repubblicana. Dall’estate, con le convention repubblicana e democratica, partirà poi la campagna vera e propria per Usa 2020.
Un rimpasto nell’Amministrazione è certo: l’ha promesso il magnate presidente alla vigilia del voto dopo averlo più volte anticipato. Il ministro della Giustizia Jeff Sessions è stato ‘licenziato’ un mese fa in diretta tv: l’ex senatore dell’Alabama, un ometto un po’ razzista, mite e pusillanime, non ha mai soddisfatto il presidente, che gli rimprovera d’avere dato via libera al procuratore speciale Robert Mueller nell’inchiesta sul Russiagate e che lo ha spesso ‘brutalizzato’ verbalmente.
Il rinnovamento al Dipartimento della Giustizia dovrebbe essere radicale: è pronto ad andarsene anche Rod Rosenstein, il vice di Sessions, l’uomo cui Mueller fa capo. Rosenstein ha già restituito il mandato: Trump deve solo accettarne le dimissioni. I successori di Sessions e Rosenstein dovranno gestire le conclusioni del Russiagate, che potrebbero anche condurre a una procedura d’impeachment nei confronti del presidente, se i democratici da gennaio riprenderanno il controllo della Camera, cui spetta lanciarla.
La ridda di ipotesi sul rimpasto, con la Casa Bianca ‘Grand Hotel’, gente che va e gente che viene, ha vivacizzato nei talk show la giornata elettorale, con gli americani intenti a votare per rinnovare la Camera (435 seggi) e un terzo del Senato (33 seggi su 100), oltre che per scegliere i governatori di 36 Stati e decine di assemblee statali o locali e pronunciarsi su decine di referendum. Il fermento della vigilia, con 160 tentativi d’hackeraggio di siti elettorali accertati e 36 milioni di votanti alle urne in anticipo grazie all’ ‘early voting’, lascia presagire dati d’affluenza record per un voto di midterm, nonostante il maltempo nel Nord-Est.
Trump dice: “Le Amministrazioni normalmente fanno cambiamenti dopo il midterm”; ed è vero. Fra i ministri che potrebbero saltare, o lasciare, nel rimpasto c’è il responsabile dell’Interno Ryan Zinke, che ha competenze molto più limitate dei suoi omologhi europei – le questioni di sicurezza sono gestite dal responsabile della Sicurezza interna -. Il presidente apprezza “il buon lavoro” del suo ministro, ma s’impegna “a dare un’occhiata” alle diverse inchieste che ne mettono in dubbio l’onestà.
Trump esclude di volersi disfare del segretario alla Difesa, l’ex generale Jim ‘cane pazzo’ Mattis: “Perché me lo chiedete? – risponde infastidito ai cronisti – Le solite voci”. Ma potrebbe essere Mattis a volersene andare dalla ‘gabbia di matti’ dell’Amministrazione, che in due anni ha già consumato due consiglieri per la Sicurezza nazionale, un segretario di Stato e alcuni ministri.
Se potesse, invece, il presidente si libererebbe volentieri del presidente della Federal Reserve Jerome Powell, che – si lamenta – gli rema contro alzando i tassi d’interesse (com’è ovvio fare, quando l’economia va bene e l’inflazione tende a salire). Ma non lo può fare: l’ha appena nominato e non lo può rimuovere; quindi, dovrà conviverci.
Ma i livelli di consunzione maggiori si registrano alla Casa Bianca, a testimonianza di quanto sia usurante lavorare a contatto con il magnate. In uscita sono dati John Kelly, il generale che dell’estate del 2017 è il capo dello staff, ma che non ha un buon rapporto con la ‘prima famiglia’, quella composta dalla ‘prima figlia’ Ivanka e da suo marito Jared Kushner; e anche la portavoce Sarah Sanders Hackabee, che potrebbe essere sostituita da Heather Nauert, 48 anni, portavoce del Dipartimento di Stato, ex conduttrice della Fox News: lo staff di Trump la considera brava a spiegare e sostenere la politica estera dell’Amministrazione.
Il presidente ha pure da giocarsi il jolly della sostituzione di Nikki Haley come rappresentante degli Usa all’Onu: favorito è l’ambasciatore Richar Grenell, ma la nomina, che pareva imminente, tarda.