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Ue: europee, sovranisti già pronti, europeisti cercansi

Scritto per La Voce del Tempo uscito l'11/10/2018 in data 14/10/2018

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A guardarla dall’Italia, la battaglia per le elezioni europee del maggio 2019 gli europeisti l’hanno già persa: che siano di destra e nazionalisti –moltissimi-, come la Lega, o populisti e assistenzialisti – molti -, come i 5 Stelle, o di estrema sinistra e anti-capitalisti – pochi -, gli euroscettici fanno più dei due terzi dell’elettorato italiano, in tutti i sondaggi. Ma l’Italia non è la norma, nell’Unione: se in Francia, Marine Le Pen, la partner di Matteo Salvini, e il suo Rassemblement National, che fa comunella con la Lega, rappresentano un terzo dell’elettorato e la sinistra ‘euro-scettica’ un quarto, altrove le componenti sovraniste e qualunquiste sono presenti, ma raccolgono meno consensi. I voti in Olanda e in Svezia, in Austria e in Germania, negli ultimi 18 mesi, indicano ovunque in crescita movimenti nazionalisti e xenofobi, con una presa, però, nettamente inferiore che in Italia e Francia.

Il crollo della fiducia – parallelo – nell’integrazione e nel globalismo, innescata dalla crisi del 2008 e amplificata dalle risposte rigoriste univoche date dall’Ue e dall’intensità dei flussi migratori, produce i suoi effetti, mentre l’Est vede rigurgiti di nazionalismo contraddittori: i Paesi del Gruppo di Visegrad – Polonia, Rep. Ceca, Slovacchia, Ungheria – frenano l’Unione e ne violano alcuni principi democratici fondamentali, ma affidano in modo sostanziale la loro crescita ai fondi dell’Ue per la coesione.

Un momento difficile?, fenomeni transitori? Forse. Ma, fra meno di otto mesi, ci sarà da rinnovare il Parlamento europeo; e, a seguire, entro la fine dell’anno, la Commissione europea e tutti i vertici delle Istituzioni comunitarie. E’ possibile, anzi è probabile, che l’Assemblea di Strasburgo che uscirà dal voto del 26 e 29 maggio 2019 presenti ancora una maggioranza ‘europeista’, composita e politicamente non coesa, sommando i gruppi popolare, socialista, liberale e verde, oltre che le forze nel frattempo coagulatesi intorno a ‘En marche’ del presidente francese Emmanuel Macron, che sta cercando la sua collocazione e le sue alleanza europee.

Ma i segnali di allarme in senso opposto sono forti e numerosi. Attaccare l’Europa, oggi, è facile: l’Unione pare una balena spiaggiata. E’ prigioniera di meccanismi di decisione che condizionano l’efficacia dell’integrazione e tengono al riparo da conseguenze negative per i loro atteggiamenti i suoi nemici interni; è incapace d’affrontare la questione dei migranti; è impotente a sciogliere i nodi della Brexit rendendo l’uscita della Gran Bretagna un negoziato infinito (e sterile). Ma l’alternativa all’Unione è peggiore: una nebulosa di Paesi quasi tutti demograficamente, politicamente ed economicamente irrilevanti, dipendenti o ‘vassalli’ delle Grandi Potenze che possono elargire protezione e sicurezza militare ed energetica.

Il Fronte della Libertà
Giorni fa, Salvini e la Le Pen hanno gagliardamente celebrato la loro alleanza elettorale per le europee, già testata nella convivenza nel gruppo al Parlamento di Strasburgo, nella sede dell’Ugl, a Roma, che sta in via delle Botteghe Oscure, di fronte al palazzo che fu sede del Pci: insieme, i due leader sovranisti vogliono danno lo stop al “ruolo autoritario” di Bruxelles e delle Istituzioni comunitarie, di cui denunciano la mancanza di democrazia e di trasparenza. Rivendicazioni contraddittorie, che intrecciano orgogli nazionalisti e tentazioni – noi diremmo ‘grilline’ – di democrazia diretta, quasi che le decisioni dei governi non siano democraticamente legittimate dai voti dei cittadini.

Forse con una nota di ottimismo europeista, EuNews parla della “solitudine dei sovranisti”. Ma è certo che il fronte opposto manca di leadership e di coesione. Indebolita e forse ormai consunta Angela Merkel, non più sulle ali dell’entusiasmo Macron, gli attuali capi delle Istituzioni europee non hanno né carisma né prestigio. Il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker molto si dà da fare per “sbarrare la strada a populismi e nazionalismi ottusi” e accetta lo scontro verbale aperto, ma è a fine corsa.

Nella serie ‘mal comune mezzo gaudio’, si può notare che neppure la coalizione al potere in Italia è coesa sull’Europa: gli M5S sono pure divisi al loro interno, con una linea del confronto impersonata dal vice-premier Luigi Di Maio e una linea del dialogo interpretata dal presidente della Camera Roberto Fico, che assicura “non siederemo mai a Strasburgo con la Le Pen” – attualmente, però, siedono con i ‘brexiters’, che non è mica meglio -. Molto meno dialettica al proprio interno la Lega: Mara Bizzotto, capo delegazione al Parlamento europeo, critica il dialogare di Fico con Juncker e con il commissario all’Economia Pierre Moscovici, “vecchie mummie di Ppe e Pse”, bersaglio d’attacchi anche grevi e volgari di Salvini e di Di Maio: “La nostra strada in Europa e in Italia è quella del cambiamento – proclama la Bizzotto – e ci porterà molto lontano, … a rivoluzionare l’Ue di burocrati e banchieri che vuole affamare il popolo italiano e comandare a colpi di spread… Fico forse aspetta un Maduro o un Bertinotti europeo, cui sedersi accanto nell’Assemblea di Strasburgo”.

Un fronte alternativo?
I padri nobili dell’europeismo idealista, come Romano Prodi, prospettano la creazione di un fronte contro il populismo “da Macron a Tsipras”, ma sono subito placcati dagli esacerbati avversari: “L’idea di Prodi dimostra che la casta ha paura: mettono da parte le loro differenze di destra e sinistra per bloccare l’unica alternativa popolare alla globalizzazione senza regole, il MoVimento”, afferma Mattia Fantinati, M5S, sottosegretario alla presidenza del Consiglio.

Alle elezioni europee, Prodi – dice al Corriere della Sera – sarebbe favorevole a uno schieramento di “socialisti, liberali, verdi e macronisti”, “accomunato dalla stessa idea di Europa”,per dimostrare che “un’alternativa (al risorgere dei nazionalismi, ndr) è possibile”. L’uscita dell’Italia dall’euro “sarebbe assurda e folle”; ma, tra i decessi, ci sono “anche i suicidi” . L’ex premier ed ex presidente della Commissione europea aggiunge: “Ho criticato più volte l’Europa, però per mostrare i muscoli bisogna averli”. Democrazia illiberale, cioè la formula coniata dal premier ungherese Viktor Orban, si addice all’Italia attuale? “È un rischio che corriamo: siamo nel caso in cui chi ha avuto il mandato dal popolo pensa di avere diritto a fare o a dire qualunque cosa”.

Il confronto con l’Italia su migranti e manovra
Il confronto tra Italia e Ue si gioca soprattutto sui temi dei migranti e della manovra. Sui flussi, Prodi, parlando a Bologna, osserva: “Se accanto alle regole non abbiamo le prospettive, le regole valgono poco”. L’ex premier inquadra il fenomeno migratorio nelle dinamiche geo-politiche intorno all’Africa, partendo da considerazioni demografiche che vedono, per l’Europa, la necessità di flussi in entrata. “Il nostro continente ha bisogno di immigrati … L’Italia perderà in una generazione un’Emilia-Romagna in termini di popolazione e avrà nel giro di quattro anni un milione di persone in più over 65. Mentre l’Africa raddoppierà la popolazione in un secolo e a Nigeria fra 50 anni avrà gli stessi abitanti dell’Ue”. Quanto agli atteggiamenti delle opinioni pubbliche, Prodi nota che “c’è una velocità di cambiamento impressionante. In Germania dall’accoglienza dei rifugiati con canti e balli alla stazione di Monaco alla loro ‘cacciata’, sono passate poche settimane. Se scatta la paura – magari alimentata da leader che hanno di mira solo il potere, ndr -, i popoli perdono il controllo”.

Sulla manovra, con l’Italia, sono dure tutte le Istituzioni europee: la Commissione e l’Eurogruppo accolgono con molta diffidenza le cifre italiane, giudicando l’ampliamento del deficit – dall’1,6 al 2,4% – preoccupante, e ormai dubitano delle assicurazioni europeiste del ministro dell’Economia Giovanni Tria, puntualmente contraddette dalle recriminazioni anti-europee di Salvini e di Di Maio e dalle teorizzazioni euro-scettiche del ministro Paolo Savona. Anche la Banca centrale europea guidata da Mario Deaghi e il Parlamento europeo presieduto da Antonio Tajani mettono in guardia l’Italia, con la crescita più bassa e il debito più alto nell’Ue.

Parlando della manovra, Prodi premette: “I numeri non sono sacri. Bisogna avere un deficit quando c’è bisogno di deficit e un surplus quando c’è bisogno di surplus”, ama il deficit al 2,4% per tre anni (poi rivisto) “mi è sembrata una inutile voluta provocazione di Lega e M5S”. Questa, però, resta “una manovra a breve”, con “effetti solo nell’immediato, utile soprattutto per le prossime europee”: misure come il reddito di cittadinanza, il condono e qualche sgravio fiscale che valgono voti, non crescita.

Ma il Governo di Roma, mettendosi proprio in una prospettiva elettorale, esibisce come un merito la perdita di credibilità in Europa. Non è solo Juncker a dire che il ‘governo del cambiamento’ sta “rovinando l’Italia”. Il tedesco Manfred Weber, euro-parlamentare, candidato alla nomination Ppe alla presidenza della Commissione europea 2019-’24, dice, in un’intervista a El Pais, quasi all’unisono con Prodi, che bisogna “lavorare uniti” contro “una coalizione ostile” che va da Salvini al polacco Kaczynski: “E’ urgente avviare ua campagna per contrapporre alla alleanza dei populisti una coalizione di innovatori che parta da un programma di governo comune per la legislatura e giunga, attraverso delle primarie, a scegliere un candidato alla presidenza della Commissione”.

Su questo punto, il dibattito è vivace soprattutto fra i popolari: a Weber si contrappone l’ex premier finlandese Alexander Stubb, mentre fra i socialisti Moscovici si è fatto da parte.

La partita di Dublino
Patrizia Antonini scrive sull’ANSA che di qui fino al voto per le europee la battaglia decisiva diventa la riforma del regolamento di Dublino, “già ostaggio delle campagne elettorali nazionali negli ultimi tre anni e ora motivo esistenziale per quel pezzo di Unione che incrocerà le armi contro i populismi nelle urne”.

L’ultimo caso dell’Aquarius, con la Francia che ha trovato accordi bilaterali con Spagna, Portogallo e Germania per la redistribuzione dei migranti a bordo della nave dell’ong – mentre l’Italia un mese prima s’era trovata la porta sbattuta in faccia nella vicenda Diciotti – potrebbe essere – ipotizza l’Antonini – “la rappresentazione plastica di cosa si va preparando sottotraccia”.

Questa la ricostruzione della corrispondente dell’ANSA: “La decisione di tentare il tutto per tutto, per trovare una soluzione prima del suono della campanella d’uscita, a cui, secondo fonti europee, Salvini non sarebbe interessato, ha preso forma più netta al vertice dei leader dei 28 a Salisburgo, col pressing di un gruppo di Paesi – tra questi Francia, Germania e Svezia – decisi a chiudere un’intesa su nove riforme, per la gestione dei flussi migratori, inclusa la revisione del regolamento di Dublino”.

“E chissà se, in questo scenario, alcuni leader non abbiano anche il retro-pensiero di un’adozione con voto a maggioranza qualificata. Del pacchetto sul tavolo fanno parte la riforma della direttiva sui rimpatri, il rafforzamento di Frontex e quello dell’Agenzia europea di sostegno all’asilo (Easo), misure volte a spianare la strada per un’intesa più ampia, per le modifiche alla norma di Dublino, grazie alle garanzie di finanziamenti e assistenza … Più in dettaglio, per la revisione di Dublino si ripartirà dalla proposta avanzata dalla presidenza di turno bulgara nel primo semestre 2018, ma è molto probabile che, per ottenere la convergenza di un maggior numero di Paesi, salti la parte sull’obbligatorietà dei ricollocamenti dei richiedenti asilo. Al suo posto, la possibilità di esprimere solidarietà, anche con denaro ed equipaggiamenti secondo ripartizioni stabilite, in alternativa all’accoglienza di profughi dagli Stati in prima linea”.

Lo spazio per una riuscita è comunque stretto: sovranisti e populisti non vogliono cheil tentativo, che ridarebbe credito agli europeisti, abbia successo.

gp
gphttps://www.giampierogramaglia.eu
Giampiero Gramaglia, nato a Saluzzo (Cn) nel 1950, è un noto giornalista italiano. Svolge questa professione dal 1972, ha lavorato all'ANSA per ben trent'anni e attualmente continua a scrivere articoli per diverse testate giornalistiche. Puoi rimanere connesso con Giampiero Gramaglia su Twitter

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