Allora, aveva ragione Donald Trump, quando all’Onu accusava la Cina di spionaggio e d’ingerenza: secondo Bloomberg Business Week, l’intelligence cinese ha infiltrato con microchip l’hardware di società tecnologiche americane di prima grandezza, incluse Apple e Amazon. Resta da vedere se le fonti della Bloomberg non siano le stesse del magnate presidente: gli 007 Usa che, per una volta, sarebbero in sintonia con la Casa Bianca.
In realtà, lo spionaggio cinese avrebbe avuto obiettivi più industriali che politici: prese di mira sarebbero state una trentina di aziende statunitensi, con l’obiettivo di carpire loro segreti industriali e commerciali e di colpirle nella proprietà intellettuale. I micro-chip cinesi sarebbero stati inseriti nelle schede madri durante il processo di produzione in Cina da agenti dell’Esercito nazionale cinese: l’operazione avrebbe, quindi, una matrice militare.
Immediate le smentite di Apple e Amazon, che difendono affidabilità e inviolabilità dei loro server.
L’Apple dice di non avere mai avuto contatti con l’Fbi in proposito: “Non siamo a conoscenza d’indagini di sorta”, affermano i portavoce dell’azienda di Cupertino. Analoga la reazione del colosso dell’e-commerce: “Amazon non ha prove della presenza di chip maligni nei suoi apparati”.
Ma le fonti della Bloomberg sono piuttosto dettagliate. Grazie ai microchip, gli hacker cinesi avrebbero avuto accesso a tutte le operazioni dei server delle aziende ‘infestate’, con la possibilità di rubare dati e alterare attività.
L’attacco, che sarebbe stato scoperto dall’intelligence statunitense fin dal nel 2015 – non è chiaro perché se ne venga a conoscenza solo ora -, sarebbe più grave di episodi analoghi finora conosciuti. Gli hacker tendono, infatti, a colpire i software, più vulnerabili, piuttosto che l’hardware.