Il vice-segretario alla Giustizia Rod Rosenstein offre le dimissioni, un attimo prima che Donald Trump lo licenzi: avrebbe suggerito di registrare in segreto le conversazioni con il presidente, dopo che questi aveva liquidato il direttore dell’Fbi James Comey in seguito a un colloquio privato. E intanto si complica il percorso di conferma alla Corte Suprema del giudice Brett Kavanaugh, l’uomo scelto per blindare a destra per una generazione la massima magistratura degli Stati Uniti: sono diventate tre le donne che lo accusano di molestie.
Con Rosenstein, sono almeno 13 i ministri, i vice o i consiglieri dell’ ‘inner circle’ di Trump ‘saltati’ in 20 mesi: tra questi, il segretario di Stato e altri due membri del gabinetto, ben due consiglieri per la sicurezza nazionale, praticamente tutte le posizioni apicali alla Casa Bianca.
L’uscita di scena del vice-ministro Rosenstein, che Trump detestava, potrebbe avere ripercussioni sul Russiagate, l’inchiesta sulle collusioni tra la campagna 2016 dell’allora candidato repubblicano ed emissari del Cremlino. Rosenstein, infatti, supervisionava l’operato del procuratore speciale Robert Mueller – un altro che Trump detesta -, dopo l’auto-ricusazione del ministro della Giustizia Jeff Sessions, il prossimo nome sulla lista di proscrizione della Casa Bianca (il presidente ne ha già annunciato la messa da parte dopo le elezioni di midterm del 6 novembre).
Trump potrà ora rimpiazzare Rosenstein con una persona di sua fiducia, controllando più da vicino le indagini di Mueller, che rischiano di trascinarlo in una procedura di impeachment per ostruzione alla giustizia, specie se le elezioni di novembre dessero ai democratici il controllo del Congresso, come non è escluso.
Le dimissioni di Rosenstein erano nell’aria dopo che il New York Times gli aveva attribuito l’idea d’intercettare Trump – espressa nel 2017, dopo il licenziamento di Comey -. L’interessato aveva blandamente smentito. Le affermazioni del NYT si collocano nel filone del libro di Bob Woodward sul clima alla Casa Bianca (‘Paura’) e della pubblicazione d’un testo anonimo d’un alto funzionario dell’Amministrazione, secondo cui è in atto una “resistenza silenziosa” per evitare che Trump causi all’Unione e al Mondo danni irreparabili.
Prima di recarsi alla Casa Bianca, Rosenstein aveva già annunciato le dimissioni al capo dello staff del presidente John Kelly, anch’egli non certo di restare al suo posto – Trump vuole liberarsi di tutti coloro che gli remano contro, cioè non gli lasciano fare quello che gli passa per la testa -. L’incontro con Trump avverrà giovedì.
Il sisma Rosenstein scuote l’Amministrazione Trump quando Christine Blasey Ford, la donna che accusa di molestie sessuali il giudice Kavanaugh, è pronta a testimoniare davanti alla commissione del Senato che deve avallare la nomina. Le accusatrici di Kavanaugh si sono intanto moltiplicate: alla Ford, docente universitaria, compagna di liceo di Kavanaugh, s’è aggiunta Deborah Ramirez, 53 anni, che studiò con il giudice all’Università di Yale. E ci sarebbe una terza ‘donna di cuori’.
Per Kellyanne Conway, consigliera di Trump, uno dei pochi ‘reduci’ della campagna elettorale rimasti accanto al presidente, le accuse di molestie sessuali al giudice conservatore suonano come “una vasta cospirazione della sinistra”: le frasi della Conway dette alla Cbs echeggiano quelle usate nel 1998 da Hillary Clinton, che qualificò accuse analoghe al marito Bill di “vasta cospirazione della destra”.
Tutto ciò alla vigilia del discorso di Trump in apertura dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite oggi al Palazzo di Vetro di New York. Un anno fa, il magnate presidente ridicolizzò Kim Jong-un, leader nord-coreano, e preannunciò l’uscita degli Usa dall’accordo sul nucleare con l’Iran. Ora, Kim è un compagno di merende, l’Iran resta il diavolo; e Trump s’appresta a rivedere la lista dei nemici. Come viatico, ha ieri fatto scattare nuovi dazi su 200 miliardi di dollari d’import dalla Cina.