Con dieci milioni di abitanti – un sesto dell’Italia – e con una superficie una volta e mezzo l’Italia -, la Svezia è da sempre e di gran lunga il Paese Ue che accoglie il maggior numero di rifugiati ed è pure in testa alle classifiche della redistribuzione dei migranti dall’Italia – dati pro capite -. Ma difficoltà d’integrazione emerse negli ultimi tempi e sfociate in episodi di criminalità e di violenza, specie a Malmoe e a Stoccolma, strumentalizzati dalla destra xenofoba e neo-nazista, hanno inciso sul clima sociale e possono oggi cambiare, alle urbe, il quadro politico. S’avverte anche l’influenza di quanto avviene nei Paesi vicini: ci sono i Veri Svedesi, come i Veri Finlandesi, e c’è un’Alternativa per la Svezia, come l’Alternativa per la Germania.
Il punto di svolta è stato il 2015, l’anno che il flusso di migranti verso l’Ue fu maggiore, l’anno che Angela Merkel aprì le porte della Germania a un milione di siriani: i 163 mila rifugiati accolti allora in Svezia hanno spinto una parte dell’elettorato svedese verso i Democratici svedesi (SD), un partito che ha radici in movimenti neo-nazisti. Il leader Jimmie Akesson ha però cercato di ammorbidirne l’immagine, pur rompendo i tabù sottaciuti nei discorsi pubblici su immigrazione e integrazione.
Rispetto al linguaggio d’un Salvini in Italia o d’una Le Pen in Francia, Akesson, ora, è un moderato: ha cambiato logo e colori ‘sociali’, adottando la margherita e il giallo-blu della bandiera nazionale. Ma in Svezia, a destare disagio, basta una frase come quella pronunciata venerdì nell’ultimo acceso dibattito televisivo: gli immigranti non trovano lavoro “perché non si sanno adattare alla Svezia”. L’emittente Svt ha preso le distanze, definendo l’affermazione “degradante e non democratica”. Akesson avrebbe ricevuto dall’Isis una lettera minatoria, con minacce di decapitazione se non si fosse ritirato dalla competizione elettorale: i servizi d’intelligence svedesi indagano.
Il Riksdag, il Parlamento, può uscire ‘terremotato’ dal voto odierno: l’SD , radicali di destra populisti e anti-immigrazione, sono accreditati dai sondaggi del 20% dei suffragi – e c’è chi li dà addirittura in testa -. In calo, in un voto i cui risultati potrebbero essere più frammentati del solito, sia i socialdemocratici (Sap) del premier Stefan Lovfen, che da oltre un secolo sono il primo partito svedese, che i Moderati. Nel Riksdag uscente, il Sap ha 113 seggi, il centro 84, l’SD 49.
Uno scenario del genere, nella Svezia campione europeo e mondiale di tolleranza e di accoglienza, crea allarme a Bruxelles, ma anche a Parigi e a Berlino, specie in proiezione delle elezioni europee del maggio 2019, perché la galassia euro-scettica e xenofoba, nazionalista e sovranista, s’allarga: l’asse Le Pen – Salvini ha sponde in Belgio e Olanda, in Germania e Austria, in Svezia e al Nord, nei Paesi di Visegrad e in Croazia, e intacca anche famiglie politiche tradizionalmente europeiste: Fidesz, il partito del premier ungherese Viktor Orban è nel Partito popolare europeo della Merkel. Né s‘intravede un argine che ne possa fermare l’avanzata, nonostante Macron e la Merkel, che si vedono a Marsiglia, si propongano di consolidare l’arco europeista-progressista e di esserne i punti di riferimento.
Il programma politico degli SD prevede, fra l’altro, un referendum ‘alla inglese’ per uscire dall’Ue, la Swexit, e il dirottamento dei soldi per l’accoglienza al sistema sanitario nazionale, la priorità degli elettori, abituati a un welfare modello di riferimento mondiale. Difficile che gli SD approdino al governo: nessuno dei partiti tradizionali è disponibile ad allearsi con loro. Ma difficile pure mettere insieme una maggioranza di centro-destra o di centro-sinistra. Si va forse verso un governo di minoranza, in un Paese mai così polarizzato, nonostante la crescita economica sia buona e il tasso di disoccupazione basso, al 6%.