Questa pagina libica cruenta era già tutta scritta, quando, a Washington, il 31 luglio, Donald Trump diede il suo avallo al presidente del Consiglio Giuseppe Conte: una cabina di regia a guida italiana, per la stabilizzazione della Libia e la sicurezza nel Mediterraneo.
Trump riconobbe a Conte una leadership in Libia un po’ per dare fastidio a Macron il ‘maestrino’, ma soprattutto perché gli premeva non restare impaniato in beghe regionali, dove non ci sono, o lui non percepisce, interessi strategici od economici americani.
Prova ne sia che ora la diplomazia Usa “sostiene con forza l’impegno dell’Onu di riunire le parti coinvolte”: sarà l’unico caso, in venti mesi di Amministrazione Trump, in cui gli Usa s’affidano all’Onu, che oggi proverà a fermare gli scontri fra milizie a Tripoli. Mentre l’Ue, che conta quanto l’Onu, lancia un appello per il cessate-il-fuoco.
Alla Casa Bianca, il professor Conte parve compiaciuto della patente libica conferitagli da Trump; e molti lo furono con lui, pensando d’essersi così sbarazzati delle interferenze di Macron. Ma, a fare saltare le ipotesi di cabine di regia ‘mediterranee’ e a mostrare che tutte le nostre briscole sciorinate in Libia tra luglio e agosto, Salvini, Moavero, la Trenta, sono, in realtà, almeno lì, scartine, bastava soffiare un po’ sul fuoco delle rivalità fra le fazioni libiche.
Qualche malizia francese, sulle elezioni entro l’anno; qualche ingenuità italiana, ed ecco il patatrac. Quando Di Maio al Cairo dice ad Al Sisi che l’Italia lo vuole coinvolgere in Libia, suscita magari un sorrisino d’indulgenza da parte del rais, che in Libia è uno che dà le carte, e, nel contempo, irrita i nostri diretti interlocutori, il premier al-Serraj e il suo governo che fuori da Tripoli non controlla nulla – e, ormai, neppure a Tripoli -.
Ci sarebbe da approntare una risposta, per contenere i rischi che il caos a Tripoli significhi ripresa del flusso dei barconi verso l’Italia, mentre l’Eni assicura che “le attività procedono regolarmente” – gas e petrolio sono salvi, alleluja! -.
Ma il Consiglio dei Ministri si riunisce senza Conte e senza Di Maio. Salvini si prende la scena, Moavero e la Trenta lavorano ai margini: l’ambasciata d’Italia a Tripoli resta “operativa”, ma ha “presenze più flessibili”; i soldati italiani, che a Misurata proteggono un ospedale da campo, non sono in pericolo; e Palazzo Chigi smentisce un intervento di corpi speciali italiani – per che fare? -.
Il Governo, che rinvia le nomine ai vertici dei servizi segreti – cruciali sul fronte libico – esprime, per bocca di Salvini, “massimo sostegno alle autorità libiche riconosciute” (da Onu e occidentali, ma non certo dai libici) e se la prende con la Francia. “L’Italia deve essere protagonista – aggiunge Salvini -… Escludo interventi militari, che non risolvono nulla. E questo dovrebbero capirlo anche altri … Le incursioni di chi ha altri interessi non devono prevalere sul bene comune, che è la pace”.
A chi gli chiede se sia pentito di avere definito la Libia un porto sicuro, Salvini risponde “Chiedete alla Francia”: “Penso che dietro (a quanto sta accadendo in Libia, ndr) ci sia qualcuno che ha fatto una guerra che non si doveva fare, che convoca elezioni senza sentire gli alleati e le fazioni locali, che è andato a fare forzature, a esportare la democrazia, cose che non funzionano mai”.
Critiche alla Francia, miste a preoccupazione, le esprime pure il presidente della Camera Fico: “C’è una tensione enorme e l’Europa se ne deve fare assolutamente carico. E’ un problema grave che ci ha lasciato la Francia, facendo una guerra che non era stata chiesta da nessuno, e ora siamo sull’orlo di un nuovo conflitto. E allora dobbiamo parlare con intelligenza … non polarizzando gli scontri” sui migranti “tra ‘tutti a casa’ o ‘accogliamoli’”. La Trenta gli si accoda: “Bisogna lavorare per fare cessare le ostilità… L’ipotesi intervento militare non la prendo neppure in considerazione”.
Pure il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani dice che “Macron sbaglia: un solo Paese non può essere egemone in Libia”. L’Europa deve “agire in fretta cercando un compromesso: guai se diventa una partita tra Paesi per ottenere ognuno un vantaggio per se stesso”. Ma la diplomazia pare impotente: Usa, Gran Bretagna, Francia e Italia, cioè cani e gatti, condannano all’unisono “l’escalation di violenza a Tripoli” e ricordano che “è vietato colpire i civili e sferrare attacchi indiscriminati”. Insomma, fischiano fallo, ma non sanno a chi mostrare il cartellino giallo.