Il Russiagate va avanti, coinvolgendo il suo ‘cerchio magico’ e investendolo direttamente; le interferenze russe nelle elezioni 2016 non le nega più neppure lui, anche se a suo dire sarebbero state ordite dai democratici; la figlia Ivanka, finora una ‘irriducibile’, si smarca sulla separazione dei bambini dai genitori alla frontiera e sugli attacchi ai media; ovunque va, suscita critiche e proteste – l’unico suo ‘luogo sicuro’ nell’ultimo mese è stato l’incontro con il premier italiano Giuseppe Conte -, eppure il tasso di approvazione del presidente Donald Trump sale e tocca il 50%, secondo un sondaggio Rasmussen, cinque punti in più di Barack Obama allo stesso momento della sua presidenza.
Il magnate presidente incassa e ringrazia, ovviamente via tweet: “Stiamo lavorando duro”. Poi, sempre via tweet, omologa il giudizio di Ivanka sui media al suo: “I media non sono nemici della gente. I ‘fake news media’ – cioè, tutti quelli che lo criticano, ndr – lo sono”. E in un comizio rovescia, 21 giorni dopo, la frittata delle gaffes con la Regina Elisabetta II: “Non l’ho fatta aspettare io. E’ lei che mi ha fatto aspettare”.
Le interferenze russe – Facebook, che forse ne sa più di tutti, e l’intelligence hanno prove che i russi stanno ancora cercando d’interferire sul voto di midterm, il 6 novembre, quando gli americani rinnoveranno tutta la Camera e un terzo del Senato. La responsabile della Sicurezza nazionale Kirstjen Nielsen, ‘trumpista’ viscerale, chiama a difendere il voto dalle “reali minacce russe”. Il direttore della Cia Christopher Wray dice che le interferenze non hanno per ora toccato i livelli 2016, ma avverte che potrebbe esserci una ‘escalation’ negli ultimi cento giorni – il conto alla rovescia è già cominciato -. Il presidente non può più sostenere che il Russiagate è solo “una caccia alle streghe”, un “gigantesco inganno”.
Il processo Manafort – Intanto, è in corso il processo per frode e altro a Paul Manafort, ex capo della campagna di Trump, che un po’ ne prende le distanze (“Ha lavorato per me poco tempo”) e un po’ lo difende (“E’ trattato peggio di Al Capone”). Le prime battute hanno fatto emergere le spese allegre del manager e lobbista e il flusso di denaro – decine di milioni di dollari – che gli arrivava dall’estero: 60 dall’Ucraina del presidente filo-russo Yanucovich. Manafort cerca di scaricare le responsabilità su Rick Gates, all’epoca dei fatti suo vice e sodale.
Pressioni (su Sessions) e tentazioni (verso Mueller) – Sul fronte del Russiagate, Trump continua a oscillare tra le pressioni sul segretario alla Giustizia Jeff Sessions, perché ponga fine alla “caccia alle streghe” – la sua collezione di tweet in merito potrebbe valergli l’accusa di ostruzione alla giustizia – e la tentazione di sfidare Robert Mueller, accettando di esserne interrogato.
I suoi legali cercano di dissuaderlo dall’idea, perché il procuratore speciale potrebbe avere molte frecce al suo arco in un ‘colloquio’ con Trump, specie dopo che l’avvocato paraninfo e sleale Michael Cohen ha cominciato a collaborare con la pubblica accusa. Ma preparano anche linee di difesa estreme: “Se anche il presidente fosse stato colluso con i russi, non avrebbe commesso reato”, sostiene Rudolph Giuliani, che ci ha abituato ai suoi paradossi giudiziari.
Mueller non ha fretta: se avrà elementi per portare l’affondo contro Trump, lo farà solo dopo le elezioni di midterm. E solo se i democratici le vinceranno.