Se il cambiamento del governo Conte significa passare da “la Tav s’ha da fare” perché “ce lo chiede l’Europa” – il che, sia detto per inciso, non è neppure vero – a “la Tap s’ha da fare” perché “ce lo chiede l’America”, in attesa di dovere fare qualcosa “perché ce lo chiede la Russia”, allora non è mica cambiato molto, a parte i potenti di riferimento. E tra Angela Merkel, che avrà tutti i difetti grossolanamente denunciatile dal Cavaliere ai tempi suoi, ma è persona competente e affidabile, e quel borioso ‘faccio-tutto-io’ di Donald Trump, io sto a sentire mille volte di più quel che dice la cancelliera piuttosto che quel che blatera il presidente
Che, tra parentesi, ieri, nella conferenza stampa con il premier Conte, ha dato letteralmente i numeri sul Vertice della Nato e sulle spese per la difesa dei suoi alleati, citando almeno quattro cifre tutte diverse fra di loro e nessuna giusta. Perché tutti i leader presenti, a partire dal segretario generale dell’Alleanza atlantica, quel Jens Stoltenberg di cui ieri Trump ha fatto un elogio sperticato, avevano ben precisato che le cifre fatte – quali che fossero – si riferivano a spese già concordate e che non c’era nulla di addizionale rispetto a prima.
Ma Trump ha un rapporto con la realtà fuorviato: è vero quello che dice, o crede, lui. E siccome c’è una fetta d’americani ancora abbastanza importante che continua a credere quello che lui dice, e non a quello che è vero, Trump ci sguazza. Un po’ quello che accade in Italia con Matteo Salvini: l’irrilevanza del dato e la rilevanza dell’opinione.
Quello che non è chiaro è il vantaggio dell’Italia, e neppure del professor Conte e del suo governo, a corrergli dietro: fin quando è lui a correre dietro a noi, come sui migranti, non possiamo mica impedirglielo (anche se l’approvazione di Trump è una cartina di tornasole infallibile che stiamo facendo la cosa sbagliata). In fondo, Salvini dà l’impressione di ottenere di più di quello che non riesca a Trump con il Congresso: è riuscito a sdoganare nel Paese comportamenti e atteggiamenti che pochi mesi or sono quelli che oggi li ostentano si vergognavano di pensare e non osavano mostrare.
Ma perché blandire il magnate presidente sulle sue sceneggiate ai Vertici internazionali? Quando giornalisti americani contestano al loro presidente d’avere danneggiato, al G7 e alla Nato, i rapporti con gli alleati, Conte viene in suo soccorso: parla di “proficui scambi” nei due Vertici e considera “del tutto ragionevoli” le posizioni americane sul commercio internazionale – citando l’inadeguatezza delle regole del Wto – e sulla spesa per la difesa – “c’è l’esigenza di riequilibrarla, perché è squilibrata” -, con l’impegno a farsene tramite con gli altri europei (come se loro non ci fossero al G7 e alla Nato).
Personalmente, ho avuto l’impressione che il professor Conte si sia lasciato un po’ prendere dall’entusiasmo: l’accoglienza calorosissima alla Casa Bianca, tutti quei complimenti, l’impressione di essere un punto di riferimento, se non il punto di riferimento, di Trump in Europa. Ma non posso certo ipotizzare che il premier italiano abbia peccato d’ingenuità o d’inesperienza: tutto è andato bene, forse persino troppo bene.
Tanti complimenti Donald Trump non li aveva finora riservati a nessun ospite. E Conte gli ha fatto da spalla, più che fargli il controcanto, sul commercio e sulla difesa, sull’Iran e sulla Russia, dove pure sono emerse in filigrana sottili differenze, avendo cura di salvaguardare le specificità italiane più che le posizioni europei. Con il rischio che, d’ora in poi, nei consessi europei l’Italia sia “l’amica dell’America”, una ‘quinta colonna’ dell’alleato in questo momento scomodo e bizzoso, che punta a dividere i partner per garantirsi maggiore potere negoziale con ciascuno di essi.
La sintonia tra Usa e Italia, o almeno la sintonia tra Trump e Conte, si basa sul fatto che entrambi sono “outsider” della politica – dice il presidente – ed entrambi rappresentano “il cambiamento – dice il premier -. La sintonia è particolarmente forte sulla chiusura ai migranti, dove Trump litiga con il Congresso, che non gli dà i soldi per costruire il muro al confine con il Messico, e prende l’Italia ad esempio, risalendo addirittura all’Impero romano, che non c’entra nulla – anzi, proverebbe il contrario dell’asserto -, ma fa colpo.
Trump saluta il suo “nuovo amico”, si congratula ancora una volta per l’ “eccezionale vittoria elettorale”, che “ha emozionato anche gli americani” (e in cui Conte non c’entra nulla), esalta l’Italia per la difesa della propria “sovranità”. Conte si dice “invidioso” dei numeri della crescita negli Usa e non si smarca neppure quando l’americano critica la Germania e attacca l’Iran. Trump ne ricompensa l’allineamento: “Raccomanderò che si facciano investimenti in Italia: grande posto con bella gente”, peccato che la retorica degli ‘italiani brava gente’ di questi tempi stoni.
Molti auspicavano che il governo del cambiamento non schierasse l’Italia con l’America di Trump, o con la Russia di Putin, in alternativa o in contrapposizione all’Unione europea. Conte, lunedì, e Salvini, la scorsa settimana, non hanno tenuto conto di quei pareri, che parevano prudenti, specie considerata la volatilità di Trump e la spregiudicatezza di Putin.
Oltre che sull’emigrazione, c’è intesa sull’avvio di un dialogo strategico tra Italia e Usa, una cabina di regia per la stabilizzazione della Libia e la sicurezza nel Mediterraneo, dove Trump dà a Conte un ruolo di leadership – quello che a lui preme è non restare impaniato in beghe regionali, dove non ci sono, o lui non percepisce, interessi strategici od economici americani -. Il premier ne pare compiaciuto; e molti lo sono pensando che l’Italia abbia buttato fuori pista quell’antipatico supponente e ‘maestrino’ di Emmanuel Macron. Però non stupiamoci se la prima volta che andremo a reclamare solidarietà europea, e nuove missioni per EuNavForMed, Sophia, Themis, Frontex o altro, qualcuno, ovviamente scherzando, ci inviti a rivolgersi alla VI Flotta, che sono amici nostri.