Non vedeva l’ora Donald Trump di riprendere a fare a cattozzi, verbalmente parlando, con qualcuno dei suoi ‘nemici giurati’. E domenica il presidente iraniano Hassan Rohani gli ha servito un assist forse insperato, ammonendolo: “Non giochi con la coda del leone, altrimenti se ne pentirà”. Trump ha ovviamente risposto via Twitter, con un “Fai attenzione” che suona invettiva alla “Vae victis!”: “Non minacciare mai più gli Stati Uniti – scrive il magnate presidente, dando forza a modo suo al tweet infittendolo di maiuscole – o ne pagherete le conseguenze, come pochi nella storia ne hanno sofferte prima. Siamo un Paese che non tollererà più le vostre stupide parole di violenza e morte”.
Dopo essersi mostrato ‘pappa e ciccia’ con Kim Jong-un, il dittatore nord-coreano, ed avere fatto l’amicone con Vladimir Putin, il presidente russo, Trump si ritrova nel suo terreno ‘diplomatico’ preferito, la rissa verbale. E al monito sono subito seguiti i fatti, anzi ancora le parole, del segretario di Stato Mike Pompeo, che mette sotto tiro la guida suprema dell’Iran, l’ayatollah Ali Khamenei.
Per il segretario di Stato Usa, la guida suprema dispone di un fondo segreto personale da 95 miliardi di dollari non tassato e utilizzato dalle Guardie della rivoluzione islamica, i Pasdaran. “Il livello di corruzione e ricchezza tra i leader del regime dimostra che l’Iran é gestito da qualcosa che somiglia alla mafia più che a un governo”, sostiene Pompeo, secondo quanto riferisce la Cnn online. E di lì parte un’escalation sempre verbale: “La parole di Pompeo ne mostrano l’incapacità”, il ministero degli Esteri iraniano; “Se sgarrano, la pagheranno carissima”, il consigliere di Trump John Bolton, anti-iraniano fino al midollo; “Trump è uno stupido e un incapace”, il potente ministro iraniano Larijani.
Teheran e Washington sono a un punto di non ritorno sulla strada del confronto? Impossibile dirlo. Certo è che l’Amministrazione Trump tira la corda dei rapporti con l’Iran: prima, la denuncia dell’accorso sul nucleare condiviso con Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia e Germania (e la cui validità è stata confermata da tutti gli altri contraenti); poi, il ripristino delle sanzioni (che dall’autunno potrebbero colpire anche le aziende non americane che continuino a fare affari con Teheran); e ancora il rapporto privilegiato con Israele e con l’Arabia Saudita, accomunati dal desiderio di circoscrivere e limitare l’influenza sciita iraniana nella Regione. Il ruolo dell’Iran è stato uno dei punti di dissenso dell’incontro di Trump con Putin a Helsinki lunedì 16 luglio.
A riaccendere la miccia delle polemiche è stato però Rohani, che sente la pressione di conservatori e integralisti. L’espressione idiomatica “non giocare con la coda del leone” equivale a “scherzare col fuoco”.
“Signor Trump, – ha detto Rohani parlando agli ambasciatori iraniani -, noi siamo uomini d’onore e siamo quelli che hanno garantito la sicurezza dello stretto di Hormuz nella storia”. E ha aggiunto: “L’Iran é un padrone e non sarà il servitore o il tuttofare di nessuno”. Gli Usa dovrebbero capire che “la pace con l’Iran é la madre di tutte le paci, mq la guerra con l’Iran é la madre di tutte le guerre” – e anche questa è una citazione che mette i brividi, evocando il Saddam Hussein del 1991 e del 2003.