“Prendete quello che ho detto, dove c’è sì mettete no e dove c’è no mettete sì: mi sono sbagliato”: con queste ‘istruzioni per l’uso’, che lui chiama “chiarificazioni”, Donald Trump rovescia, 24 ore dopo, la sua lettura del Vertice di Helsinki con Vladimir Putin, almeno sul punto che sta a cuore ai media Usa, il Russiagate e le interferenze russe nelle elezioni presidenziali Usa 2016. Per il resto, Trump conferma il suo giudizio d’un “sostanziale miglioramento” nelle relazioni tra Usa e Russia.
Indotto alla marcia indietro, anzi alla inversione a U, dalla stampa, ma anche dall’imbarazzo e dall’irritazione dell’intelligence e della politica, Trump dà così l’ennesima dimostrazione della volatilità e dell’approssimazione delle sue dichiarazioni: uno ‘stop and go’ che ha caratterizzato tutta la missione europea che, tra l’11 e il 16 luglio, lo ha portato a Bruxelles, per un Vertice dell’Alleanza atlantica, in Gran Bretagna per una visita bilaterale – e un fine settimana sui campi di golf che possiede in Scozia – e a Helsinki.
Trump ha costantemente distribuito segnali di distanza e di diffidenza nei confronti degli alleati: l’Ue è “una nemica” dell’America sui fronti economico e commerciale; e la Nato è una congrega di scrocconi che si difendono a ufo a spese degli Usa.
Mentre Trump stava per affermare la sua “piena fiducia” nell’intelligence americana, correggendo le parole di segno opposto pronunciate nella conferenza stampa con Putin ad Helsinki, la stanza dov’era in riunione con membri del Congresso è piombata nel buio per qualche istante: “Ecco, hanno tolto la luce. Saranno le agenzie d’intelligence”, ha commentato il presidente, stemperando, a modo suo, l’atmosfera tesa.
Poi ha spiegato: a Helsinki, “volevo dire ‘non vedo perché la Russia non debba essere ritenuta responsabile’” delle interferenze nelle elezioni americane. Invece, ha fatto un errore e ha detto l’esatto contrario. Ora, esprime “piena fiducia” nell’intelligence americana e afferma di accettarne le conclusioni sulle interferenze nel voto 2016, alla base del Russiagate, l’inchiesta sui contatti della sua campagna con emissari del Cremlino.
Lo sconcerto in America aumenta e pure Putin deve porsi qualche dubbio sull’affidabilità dell’interlocutore americano.
L’Universo parallelo – Rientrato in America dall’Europa, Donald Trump ha continuato a vivere nell’universo parallelo dei suoi tweet: ha avuto “un grande incontro” con gli alleati Nato, che l’hanno vissuto come un incubo; e un incontro “ancora migliore” con Putin – buono per Putin, è sicuro -. Sorvola sulla Gran Bretagna, dove ha inanellato gaffes con la Regina Elisabetta II, strizzatine d’occhio a Boris Johnson, arci-rivale della premier Theresa May, e consigli alla May, tipo quello di fare causa all’Ue per la Brexit (a che titolo, non è chiaro), senza contare una marea di proteste che l’hanno inseguito fin nella verde Scozia.
Al punto che l’Unione europea corre ai ripari e cerca di organizzare intorno all’America di Trump un cordone di sicurezza economico e commerciale: fa patti con la Cina e con il Giappone.
E perché nessuno la racconta come Trump la vede? Colpa, è ovvio, dei “fake news media”, i cui corrispondenti vivono sul Pianeta Terra e non riferiscono le realtà percepite in altri Mondi: “Sono impazziti”. Impazziti e scatenati, se Politico.com, che è ormai divenuto la testata di riferimento per la politica americana, definisce “l’attacco di Putin agli Usa”, in occasione delle elezioni 2016, “la nostra Pearl Harbor” e invita il pubblico a non lasciarsi confondere dal gioco delle tre carte del magnate presidente: “Ingerirsi nelle elezioni è stato un atto di guerra. E’ ora che rispondiamo per le rime”.
Trump, invece, non intende farlo. Per lui, tutta questa storia del Russiagate, cioè delle collusioni tra la sua campagna ed emissari russi, è ciarpame mediatico, caccia alle streghe: lui l’ha chiesto a Putin e Putin gli ha assicurato che non c’è nulla di vero. L’inversione a U successiva non cambia la sostanza delle cose: è solo un tentativo di rabbonire l’intelligence e il Congresso.
L’opinione pubblica americana pare meno scossa dei media dalla vicenda, anche se la notizia dell’arresto di Mariia Butina, una russa di 29 anni, accusata d’essere una spia russa infiltratasi dentro la lobby delle armi, la Nra, rinfocola i dubbi sull’innocenza di Putin e dei suoi. Butina viene dalla Siberia e ha i capelli rossi: secondo gli inquirenti americani, s’è inserita in organizzazioni che influenzano la politica “per perseguire l’interesse della Federazione russa”. In patria, aveva fondato un gruppo per il diritto alle armi. Negli Usa, nel 2016, provò a combinare un incontro che doveva restare segreto tra il ‘candidato’ e il presidente.
Che cosa ci riserva il futuro? – Tra Donald e Vladimir, non sarà stato amore a prima vista – s’erano già visti in Germania e in Vietnam, a margine di appuntamenti multilaterali -: la scintilla scatta al loro terzo incontro Adesso che hanno rotto il ghiaccio, Putin e Trump potrebbero rivedersi, ma di nuovo a margine di un evento multilaterale, in Asia o in Argentina, dove si farà, in autunno, il G20: ipotesi autorevoli, perché fatte dallo stesso Putin in un’intervista alla tv russa. Matteo Salvini, invece, spera che i due s’incontrino in Italia. Il ritorno a casa del leader russo è stato molto meno contrastato di quello del magnate presidente: i media russi, che non sono molto allenati alla libertà di espressione, scrivono che Helsinki può essere “un punto di partenza” per “il rilancio delle relazioni russo-americane”.
I risultati del vertice possono essere chiaramente letti in una luce positiva, afferma il presidente della Commissione per gli affari esteri del Consiglio della Federazione russa Konstantin Kosachev. Yury Rogulev, un analista, ritiene che il vertice può innescare trattative sulla cooperazione strategico-militare: ora è fondamentale cogliere questa opportunità per passare dalla “diplomazia del megafono” ai “negoziati diretti”.
Impressiona, invece, i media americani “la straordinaria dimostrazione di fiducia data da Trump a un leader accusato di avere attaccato la democrazia americana”; l’essersi schierato a fianco di Putin contro l’intelligence statunitense (“Ho grande fiducia nella mia intelligence, ma le smentite di Putin sono state estremamente forti e potenti”); e l’avere di nuovo attaccato il Russiagate, nonostante Putin abbia ammesso di avere sperato che Trump vincesse nel 2016. I giornali americani ipotizzano, e non è la prima volta, che Putin sia in possesso di materiale compromettente per Trump, ma anche su questo punto la smentita è stata drastica: “Per piacere, toglietevi dalla testa questa baggianata”. Il WP accusa il presidente di “collusione con un criminale” e il Daily News di “aperto tradimento”, mentre il NYT inciampa in un video giudicato omofobo dalla rete, dove Trump e Putin sono amanti gay.
Anche la politica si agita, lungo linee non rigidamente partitiche: le critiche dei democratici fanno coro; fra i repubblicani, dopo Ryan, anche McCain, Rubio, Gingrich e altri prendono le distanze, mentre il presidente della Fed Jerome Powell nega che l’Ue sia “nemica” degli Usa. Generali e capi dell’intelligence in carica tacciono. James Comey, l’ex direttore dell’Fbi licenziato causa Russiagate, dice che il presidente “s’è schierato con un criminale bugiardo”.
Trump e Putin da sovranisti in capo a Gianni e Pinotto del Russiagate – I due sovranisti in capo, i due leader della post-globalizzazione, i due fari di tutti i neo-nazionalismi, si sono incontrati a Helsinki, in un contesto con reminiscenze vagamente sovietiche, nel palazzo che, nel 1990 aveva già visto l’incontro tra George Bush sr e Mikhail Gorbaciov; e si sono confermati più alleati che rivali, alla faccia dei loro alleati, che Trump scarica e che Putin non ha: se non fosse per la gente in piazza, che denuncia i voltafaccia dell’americano su clima e liberismo e le violazioni del russo dei diritti umani, saremmo in un 1984 senza più speranza, dove Eurasia e Oceania hanno blindato gli interessi delle loro oligarchie in un patto saldato dall’illusione popolare.
In realtà, come rileva sul proprio sito l’Istituto Affari Internazionali, dell’incontro privato tra Trump e Putin poco trapela e, forse, poco resterà di concreto, alla prova dei fatti. Ma l’immagine servita alle opinioni pubbliche in conferenza stampa è quella di un rapporto basato sull’intreccio d’interessi politico-personali ed economico-energetici e sulla disponibilità a ‘mettersi d’accordo’, senza slanci d’idealismo a mettere i bastoni fra le ruote. Come invece faceva quel babbeo di Barack Obama, che permetteva ai principi d’inquinare il prammatismo, nota gongolando Trump.
Certo, restano contrasti irrisolti, o almeno contraddizioni irrisolte, la Siria con l’egemonia dell’Iran e le paure d’Israele; l’Ucraina, con le rigidità dell’Europa e le ansie dei ‘pretoriani’ degli Usa baltici ed est-europei; la Cina di Xi riavvicinatasi alla Russia di Putin e capace di tenere testa all’America di Trump; gli armamenti, dove Donald fa il mercante di morte e Vladi non ha i mezzi per affrontare una corsa al riarmo; cioè, praticamente, l’intera agenda della politica internazionale, ad eccezione, forse, della Corea del Nord, dove ‘denuclearizzazione’ e ‘de-escalation’ vanno a tutti bene. Così come la guerra al terrorismo, che ti consente, tra l’altro, di eliminare i tuoi nemici senza che nessuno abbia troppo a ridire.
Ma non c’è problema. Basta dirne poco di concreto in pubblico, magari trincerandosi dietro frasi che suonerebbero ‘kennediane’ se non fossero ‘trumpiane’: “Preferisco prendermi il rischio politico di perseguire la pace, piuttosto che mettere a rischio la pace per perseguire fini politici”. E mettere in piedi qua e là un ‘gruppo di lavoro’, che è come un’aspirina: non si nega mai a nessuno e non fa male.
Certo, il fastidio è che la stampa americana s’attacca solo al Russiagate e s’interessa solo di quello. E lì quei due dietro i loro podii diventano Gianni e Pinotto: è la terza volta che si vedono, la prima in un Vertice tutto loro, ed è la terza volta che ripetono la stessa sceneggiata. “Vladi, ti sei ingerito nelle elezioni americane e mi hai favorito?”. “Assolutamente no, Donald”. “Grazie, ti credo. Sai, te lo chiedo solo perché quelli della mia intelligence e chi indaga sostengono il contrario. Ma io so che è tutta una ‘caccia alle streghe’, una ‘fake news’”. E, comunque, lui non c’entra: è tutta colpa di Obama, come sempre. Pima dell’incontro aveva già detto che i rapporti tra Mosca e Washington “non sono mai stati peggiori”, a causa “di anni di follie e stupidità americane e del Russiagate”. Vecchia tattica: se la vigilia affermi che le tue aspettative sono “basse” e che la situazione è disastrosa, tutto quello che esce è grasso che cola.