Tra Donald e Vladimir, non sarà stato amore a prima vista: la scintilla scatta al loro terzo incontro, in un palazzo di Helsinki delle reminiscenze sovietiche – qui, nel 1990, s’incontrarono Bush sr e Gorbaciov -. Il colloquio dura oltre due ore, più del previsto, e la conferenza stampa è meno scheletrica di quanto annunciato. Vladimir Putin parla di “negoziati proficui”, in un’atmosfera “franca e amichevole”: “Ci sono stati fra Usa e Russia momenti complicati: lasciamoci alle spalle il clima da Guerra Fredda”. Donald Trump dice che “tutto è andato molto bene”. Lui che, poche ore prima dell’incontro aveva detto che i rapporti bilaterali tra Mosca e Washington “non sono mai stati peggiori”, per “colpa di anni di follia e di stupidità americane e del Russiagate”, lo ripete solo per potere affermare che da oggi “tutto cambia” e che “il dialogo costruttivo” fra i due Paesi può “aprire novi percorsi verso la pace”. Del resto, se la vigilia affermi che le tue aspettative sono “basse”, tutto quello che esce è grasso che cola.
Nella conversazione, seguita da una colazione di lavoro fra le due delegazioni, si parla di armamenti e soprattutto di nucleare, di Siria e del ruolo dell’Iran, di scambi e di Cina, di Corea del Nord, ovviamente di Russiagate. Nella conferenza stampa, i media americani danno l’impressione di essere interessati solo a quello. Putin spiega di “avere dovuto ripetere al presidente Trump” che “la Russia non ha mai interferito e mai interferirà” nelle elezioni statunitensi e spalanca la porta alla cooperazione giudiziaria, nell’ambito degli accordi esistenti.
Trump tratta prima l’argomento in modo sobrio, poi sbotta alle domande dei giornalisti: “E’ una farsa”, “una iattura per i nostri rapporti”, nessuno degli uomini della sua campagna è indagato – il che non è vero – e, comunque, è tutta colpa di Obama. Quando un giornalista gli chiede se si fida più dell’intelligence americana, secondo cui c’è stata interferenza russa nelle elezioni Usa, o della parola di Putin, il magnate va in paranoia, parla di un server di cui si sono perse le traccia e delle mail della Clinton sparite – tutte storie vecchie -, ripete che lui Hillary l’ha battuta facilmente e ancora la batterebbe “nonostante il sistema elettorale americano la favorisca” – in realtà, è il contrario -. Putin se la cava con l’ironia (“In politica, meglio non fidarsi di nessuno: ciascuno ha i suoi interessi e li persegue”), anche se lui – ricorda -, vecchia volpe del Kgb, sa come si costruiscono certi dossier. L’atteggiamento di Trump viene bollato come “vergognoso” da Anderson Cooper, inviato e anchor di riferimento della Cnn.
Tutto finisce come era cominciato: una stretta di mano. “E’ bello essere qui con te e complimenti per i Mondiali”, anche se è chiaro che Trump non ne sa nulla. Putin apre dicendo “è arrivato il momento di parlarci sul serio” e chiude raccogliendo l’assist di un giornalista russo, che l’invita a rimandare la palla nel campo dell’avversario alias concorrente alias interlocutore – tutti i termini ricorrono -: consegna a Trump , chiaramente a disagio con l’oggetto, un pallone dei Mondiali, ricordando che agli Usa, con Canada e Messico, toccherà organizzare la competizione nel 2026.
Di concreto, a parte il clima e le buone intenzioni, c’è poco: sul disarmo e sul nucleare, la creazione di un gruppo di lavoro; sulla Siria e il ruolo dell’Iran, come la sicurezza di Israele, la volontà di continuare a collaborare. Di Corea del Nord, dove Putin fa una sviolinata a Trump, Ucraina e altro si parla relativamente poco – almeno nella conferenza stampa -.
Helsinki acccoglie i leader con manifestazioni di protesta, su clima, dazi, diritti umani: Trump, che viaggia con Melania, è in città da domenica; Putin giunge in ritardo, all’ultimo istante. Ma le critiche più forti a Trump non arrivano dalla piazza, ma da Pechino, dove si svolge il Vertice Cina–Ue. Trump considera l’Unione e i suoi Paesi “nemici degli Stati Uniti” sul fronte commerciale – toh!, ma non eravamo alleati? -. Donald Tusk, presidente del Consiglio europeo, replica: “L’America e l’Europa sono i migliori amici. Chiunque dica che siamo nemici diffonde fake news”; e, all’unisono con la Cina, afferma che le grandi potenze hanno il dovere di evitare una guerra commerciale: “Siamo ancora in tempo a prevenire il conflitto e il caos”. Anche la May, che non vedeva l’ora di liberarsi della presenza di Trump, tra soffietti a Johnson e gaffes con la regina, gli restituisce pan per focaccia e critica la Russia: altro che amici, con Putin ci vuole dissuasione.