S’incontreranno domani a Helsinki in una delle residenze ufficiali del presidente finlandese, un palazzo giallo del XIX secolo affacciato sul Mar Baltico, a pochi passi dalla coloratissima ‘piazza del mercato’: lì nel 1990 si videro i presidenti degli Usa e dell’Urss George Bush sr e Mikhail Gorbaciov. Trump e Putin sono al loro primo appuntamento bilaterale ufficiale: si sono già visti due volte faccia a faccia, In Germania e nel Vietnam, ma sempre a margine di incontri multilaterali. A Vertice finito, i due faranno un punto stampa.
Trump, accompagnato dalla first lady Melania, è atteso nella capitale finlandese già questa sera: domani, la coppia farà colazione con il presidente Sauli Niinisto e sua moglie. Il percorso d’avvicinamento al loro Vertice dei due leader è molto diverso: Trump passa il week-end sui campi di golf scozzesi di sua proprietà – gli stessi dov’era il 23 giugno 2016, il giorno della Brexit -; Putin deve districarsi con il via vai di ospiti illustri per la finale dei Campionati del Mondo a Mosca, evento che ha certamente contribuito a lucidare il suo blasone d’efficienza e sicurezza.
Inseguito fino in Scozia dalle proteste di britannici insofferenti della sua presenza nel Regno Unito, Trump ha testa più alle buche del golf che ai dossier del Vertice di Helsinki, le cui prospettive sono state molto, e improvvisamente, complicate dal colpo d’acceleratore al Russiagate, con l’incriminazione venerdì di 12 agenti russi accusati di avere danneggiato la campagna elettorale di Hillary Clinton – e d’avere quindi favorito implicitamente Trump -. Forse per questo, il presidente fa meno il gradasso del solito: dichiara di non avere “aspettative molto alte”, ma non esclude “sorprese”. Il NYT segnala uno iato fra le dichiarazioni sulla Russia di Trump e quelle dei suoi collaboratori.
Il Russiagate, che era comunque ineludibile, balza in testa all’agenda: i due leader non potranno limitarsi al siparietto dei loro due primi incontri: ‘Vladi, ti sei intromesso nelle vostre elezioni?’; “Assolutamente no, Donald”; “Grazie, era quello che volevo sentirti dire”. Il NYT s’interroga, ironicamente, su come si traduca in russo “caccia alle streghe”, che è l’espressione con cui Trump liquida l’inchiesta sulle connessioni tra la sua campagna ed emissari russi.
Dopo la mossa del procuratore speciale Robert Mueller, la cui coincidenza con il Vertice di Helsinki suona non casuale, Trump ha però cambiato registro: fu tutta colpa di Barack Obama, che non seppe impedire quanto accadde; e il risultato del voto non fu alterato. Molti, anche McCain, vogliono che Trump stani Putin su questo punto in modo “franco e duro”; e i democratici prima chiedono l’annullamento del Vertice e poi che i due non restino mai soli, per evitare che il magnate presidente si faccia buggerare, come già avvenuto con Kim Jong-un. Tutto naturalmente in chiave di voto di mid-term, il 6 novembre.
Il controllo degli armamenti è il capitolo che più interessa alla Russia, che vuole il mantenimento del trattato Inf sui missili di corto e medio raggio e l’avvio di trattative per il rinnovo dello Start sui missili intercontinentali, che scadrà nel 2021: Putin non può permettersi una corsa agli armamenti. Motivi di contenzioso non mancano, ma Mosca punta a costituire un gruppo di lavoro bilaterale permanente per affrontare le questioni.
L’Ucraina e la Crimea sono all’origine della nuova Guerra Fredda condotta a colpi di sanzioni, politiche – l’esclusione della Russia dal G8 – ed economico-commerciali. Le voci che Trump sarebbe pronto ad abbonare a Putin l’annessione della Crimea e a riammetterlo fra i Grandi creano ansie in Ucraina e dubbi nella Nato, emersi anche al Vertice atlantico di questa settimana e destinati ad avere un’eco a Helsinki.
La Siria è l’unico dossier su cui Trump e Putin hanno fatto progressi quando si sono visti. Gli Usa hanno di fatto accettato che al Assad resti al potere, almeno per un po’, ma vorrebbero, parlando pure per Israele, il ritiro dell’Iran dalla Siria – richiesta giudicata “non realistica” dalla Russia. Si cerca un punto d’intesa, che tocca anche la presenza militare americana nel Paese.
La Corea del Nord è una spina nel fianco di Trump, che nel Vertice con Kim a Singapore ha solo finito col dare dignità internazionale al suo interlocutore, avendo in cambio promesse – finora non mantenute -. I solleciti di Pompeo con missioni a Pyongyang non hanno sortito alcun effetto. Putin potrebbe esercitare influenza sul riottoso vicino, anche se la Russia non ha il peso della Cina, ma vorrà qualcosa in cambio.