Donald Trump non lascia, almeno per ora, ma raddoppia: agli alleati della Nato, non chiede soltanto di spendere per la difesa il 2% del loro Pil, come già convenuto – e, a dire il vero, non rispettato -, ma di spendere il 4%. A dirlo per primo è il presidente bulgaro Rumen Radev, le cui dichiarazioni, accolte all’inizio con qualche diffidenza, vengono poi confermate dalla Casa Bianca: “Al Vertice della Nato, il presidente ha suggerito che i Paesi rispettino l’impegno a spendere per la difesa il 2% del Pil e che arrivino al 4%”, riferisce la portavoce Sarah Sanders, sostenendo che Trump aveva già sollevato la stessa questione alla Nato lo scorso anno (nessuno, evidentemente, gli aveva prestato attenzione). Il segretario generale dell’Alleanza atlantica, Jens Stoltenberg, commenta sornione: “Cominciamo dal 2%”.
Trump è arrivato a Bruxelles con il piglio di chi vuole ‘spaccare’, facendosi precedere da decisioni tanto ulceranti (per gli alleati) quanto marginali – i dazi sull’import di olive dalla Spagna, per dirne una, oltre che una nuova raffica di dazi su prodotti cinesi (ma questa è un’altra storia) – e da punture di spillo provocatorie (“Più facile l’incontro con Putin lunedì a Helsinki che quello con gli alleati”). Ma non si capisce ancora se intende seguire, in questa occasione, il ‘protocollo G7 Taormina’ – resto fino in fondo, ma pianto grane su tutto – o il ‘protocollo G7 Charlevoix’ –me ne vado prima e, poi, da remoto, faccio saltare il tavolo con un tweet -.
Di sicuro, non è qui per essere carino con gli alleati. Il Vertice non è ancora incominciato e lui ha già definito i suoi partner dei “delinquenti”, perché non spendono quanto pattuito – tranne la Grecia, che lo fa in astio alla Turchia, e i Baltici, per timore della Russia -. E la Germania è “prigioniera” della Russia per via della sua dipendenza energetica dal gas russo. Il che è singolare, detto da uno che starebbe per abbonare a Putin l’annessione della Crimea e sarebbe pronto a riammetterlo senza contropartita nel Gruppo dei Grandi -.
Intenzioni che suscitano preoccupazioni e diffidenti proprio nei Baltici e nei Paesi dell’Est Europa, ‘transitati’ dal blocco comunista all’Alleanza atlantica e tuttora preoccupati della vicinanza e dell’immanenza dell’Orso russo. “La Nato – scrive il New York Times, come fosse un pro memoria per Trump -, forgiata dopo la Seconda Guerra Mondiale per contrare l’aggressione sovietica, non è un’astrazione, per i Paesi con larghe componenti etniche russe nella popolazione”, il pretesto usato da Mosca per gli interventi in Crimea e nell’Est dell’Ucraina. Proprio il polacco Donald Tusk, presidente del Consiglio europeo, dà sulla voce a Trump: “Presidenti, apprezzi i suoi alleati. Dopo tutto, non ne ha poi così tanti”.
Stoltenberg, ex premier norvegese, calma le acque e stempera le polemiche: “L’aumento delle spese per la difesa è utile a tutti … più sale la tensione più bisogna dialogare … ci sono incomprensioni, ma le decisioni che prendiamo sono buone”. Così, l’Alleanza apre all’adesione della Macedonia (del Nord), adesso che il litigio sul nome con la Grecia è risolto, e firma un patto di cooperazione con l’Unione europea, che si sta dando strumenti di politica della difesa, a livello industriale (cosa che non piace a Washington, che vorrebbe spendessimo il nostro 2% in armi americane). Alla fine, però, pure Stoltenberg ammette che “l’Alleanza Usa-Ue non è scritta nella pietra”.
Facendo fare ai leader il giro della nuova sede Nato, Stoltenberg fa da cicerone: Trump si mantiene discosto dalla Merkel e dal canadese Justin Trudeau – quelli con cui ha meno feeling -, il presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte resta in disparte.
In un bilaterale con la Merkel, Trump ribadisce le sue critiche e si sente rispondere che la Germania è indipendente nelle proprie scelte. Poi, lui parla di “grande incontro”, di “relazione molto buona”: Angela lo guarda interdetta. Conte, che il 30 luglio ha appuntamento con Trump alla Casa Bianca, chiede il rafforzamento del fronte Sud dell’Alleanza, anche in chiave di contrasto al traffico di esseri umani e al terrorismo, e sottolinea l’importanza dell’hub di Napoli, ottenendo consensi. Trump, però, non lo ascolta: se ne va quasi subito dopo avere parlato, deve twittare il proprio sostegno ai produttori di soia americani, vittime “delle barriere commerciali e delle tariffe altrui”.
Quella di Bruxelles doveva essere la tappa ‘tranquilla’ della tournée europea del presidente, che, dopo le conclusioni del Vertice, oggi, proseguirà a Londra e infine a Helsinki.
Trump prosegue il suo smantellamento del sistema multilaterale internazionale: abbandona pezzi dell’Onu, l’Unesco e il Consiglio per i diritti umani; pianta in asso il G7; delegittima la Nato; ora, forse, toccherà alla Wto, l’Organizzazione del commercio mondiale, così da avere ‘libertà di dazi e protezionismo”.
A Washington, il Senato se ne preoccupa: vota con 97 sì e due no una mozione pro Nato: “Nessuno dovrebbe dubitare della nostra determinazione a rispettare gli impegni Nato di mutua difesa … Sfortunatamente la mozione è diventata necessaria perché alcuni dei nostri più stretti alleati hanno finito con il mettere in forse l’impegno Usa alla difesa collettiva”, osserva il senatore democratico Jack Reed, autore del testo. “Il presidente Trump ha definito l’alleanza ‘obsoleta’. I nostri alleati cominciano a chiedersi se possono fidarsi degli Usa per la loro difesa in una crisi”.