Hanno tutti partecipato allo stesso Vertice ed hanno tutti sottoscritto gli stessi accordi, sui migranti, i dazi, la difesa, il rinnovo delle sanzioni alla Russia, la Brexit, il completamento dell’Unione bancaria e monetaria. Sono tutti soddisfatti, ma dicono tutti cose diverse: la scena non è inusuale, dopo un appuntamento multilaterale, ma questa volta l’effetto è particolarmente disorientante.
E il presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte passa dall’euforia dell’alba alla circospezione del pomeriggio: ha bloccato per alcune ore le conclusioni, innocue, sulla politica commerciale e sull’Europa della Difesa, ha trattato spalla a spalla con il presidente francese Emmanuel Macron sui migranti, afferma a caldo che ‘l’Italia non è più sola’, ma poi ammette che ‘Avrei cambiato qualcosa nelle conclusioni del Vertice’. Di solidarietà concreta, non solo parole, ne ha raccolta ben poca.
Il minimo comune denominatore di tutte le dichiarazioni è la soddisfazione per avere raggiunto un’intesa unanime, che pareva alla vigilia improbabile e che evita la deflagrazione dell’Unione. Ma è un’intesa fragile, dove la parola ‘volontario’ torna quattro volte: il prezzo pagato per l’unanimità è un documento – l’accordo sui migranti, il piatto forte di questo Summit – che accontenta tutti solo perché lascia ognuno libero di leggerci quello che gli preme e, soprattutto, di fare quel che gli pare.
L’intesa sui migranti è stata annunciata dal presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, dopo un negoziato durato 13 ore e mezzo. Le altre conclusioni sono state pubblicate nella giornata di ieri, al termine dei lavori: c’è pure l’estensione per sei mesi delle sanzioni economiche contro la Russia (ma l’Italia non era contraria?).
Nelle decisioni sui migranti, si parla di ‘reinsediamenti volontari’ e di ‘base volontaria’ per l’apertura di centri negli Stati membri dove selezionare i rifugiati, da accogliere, e i migranti economici, che vanno invece rimandati nel Paese d’origine. Per il resto, la riforma del regolamento di Dublino s’allontana, mentre ci sono i soldi per il patto con la Turchia e per dare una mano all’Africa.
Per Macron, i centri di accoglienza sorvegliati vanno fatti “nei Paesi di primo ingresso” (la Francia non lo è) e il porto di approdo deve essere quello sicuro più vicino, cioè uno italiano. Il premier belga Charles Michel conferma che resta “la responsabilità dei Paesi di primo ingresso”.
Il capo del governo spagnolo Pedro Sanchez dichiara: “I nuovi centri in Spagna? Li abbiamo già”. E lancia lanciando l’allarme perché i centri di accoglienza sullo stretto di Gibilterra sono al collasso. Il premier greco Alexis Tsipras, invece, non è contrario ad aprirne nelle isole dell’Egeo.
Tutti li vorrebbero fuori dall’Unione. Ma bisogna convincere ad accoglierli Paesi terzi. La Tunisia fa sapere che collaborerà ai salvataggi, ma – dice – “da noi nessun centro di accoglienza”. L’ipotesi Albania e Kosovo va negoziata e ‘comprata’, anche in termini di concessioni sulla via dell’adesione all’Ue dei due Paesi balcanici.
“Un buon segnale per l’Europa”, afferma la cancelliera tedesca Angela Merkel, che, però, ci vede soprattutto un buon segnale per la sopravvivenza del suo governo. L’Austria, che dal 1° luglio avrà la presidenza di turno del Consiglio dell’Ue, ha pronto un suo piano per dare una stretta a flussi e asilo. E il premier bulgaro Bojko Borisov, presidente uscente, critica l’Italia – “Poco simpatico minacciare il veto” – e ammette che l’intesa è “fragile”.
E, allora, l’Italia non ci ha davvero guadagnato niente? Porta a casa tre seggi in più nel Parlamento di Strasburgo che sarà eletto nel maggio 2019: li ricava dalla spartizione dei seggi del Regno Unito, che, a quelle elezioni, non parteciperà più.