L’ Italia si fa sentire nelle prime battute del Vertice europeo e blocca l’adozione delle conclusioni già pronte – sostanzialmente ‘acqua fresca’ – sui dazi e sulla politica di difesa dell’Unione, perché vale una vecchia formula dei negoziati comunitari: “non c’è accordo su niente, se non c’è accordo su tutto” – in questo caso, se non c’è accordo sui migranti -. Dove, però, l’intesa a 28 è utopica: nella notte, si cerca di sbloccare lo stallo, anche con patti che non coinvolgano tutti i Paesi Ue. Ma non è escluso che qualcuno abbia la tentazione di giocare allo sfascio per fare vedere che c’è.
La presa di posizione dell’ Italia fa saltare la conferenza stampa dei due ‘dioscuri’ delle Istituzioni Ue, i presidenti Jean-Claude Juncker, Commissione europea, e Donald Tusk, Consiglio europeo (che se l’aspettava: “Sarà un Vertice difficile”, aveva twittato prima d’aprire i lavori). Dopo essersi scaldati sui temi precotti dai loro sherpa – a parlare di difesa e sicurezza c’era pure il segretario generale Nato Jens Stoltenberg -, ed avere ascoltato un rapporto sull’applicazione degli accordi di Minsk tra Russia e Ucraina, i capi di Stato e di governo dei 28 hanno affrontato, con la cena, la questione dei flussi dei migranti.
E’ il tema centrale di questo Vertice, non solo per l’ Italia: le posizioni sono frastagliate, le questioni sono molteplici (condivisione della responsabilità, riforma del Protocollo di Dublino, i cosiddetti ‘movimenti secondari,’, gli accordi con la Turchia e Paesi africani). Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ne parla in bilaterale con la cancelliera tedesca Angela Merkel, prima dell’inizio del Vertice, ma non riesce a vedere il presidente francese Emmanuel Macron, che pure gli sollecita un colloquio. La Merkel, dicono fonti italiane, apprezza che Conte abbia presentato nel Pre-Vertice di domenica una posizione articolata, il famoso ‘decalogo’.
Su alcuni aspetti della dimensione esterna della questione migranti – la seconda tranche dell’intesa con la Turchia e gli interventi per l’Africa -, un accordo di massima c’è. Sul resto, no: l’Italia pone una pregiudiziale sulla condivisione della responsabilità, la Germania mette l’accento e dà priorità ai ‘movimenti secondari’.
Macron offre una spalla alla Merkel: la Francia è pronta a rafforzare l’accordo franco-tedesco che consente di respingere reciprocamente un richiedente asilo, nel caso in cui la Germania lo chieda. Messa alle strette nel suo governo proprio su questo punto, la cancelliera vorrebbe firmare subito altri accordi di questo tipo con partner Ue: la Spagna ci sta; la Grecia pare pure; e con l’ Italia ci sono margini d’intesa, in cambio di una condivisione della responsabilità negli sbarchi e dell’archiviazione del principio di Dublino per cui le domande di asilo sono sbrigate dal Paese d’ingresso – come è già avvenuto in pratica nei casi dell’Aquarius e della Lifeline -.
La Merkel apre spiragli: “Non possiamo lasciare soli i Paesi dove c’è la maggior parte degli arrivi”. E dice: “Finché non ci sarà un consenso a 28, andremo avanti con una coalizione dei volonterosi”. Quanto agli hotspot al di fuori dell’Ue, se ne può parlare, ma “non possiamo deciderli da soli”, dobbiamo “tenere conto” dei Paesi terzi. E ancora: fare di più per le frontiere esterne e rafforzare Frontex; e se i Paesi “d’ingresso dei rifugiati hanno bisogno di sostegno”, “i migranti non possono scegliere in quale Paese Ue chiedere asilo” – se no, andrebbero tutti in Germania -.
Nel Vertice, c’è chi si lascia scivolare addosso le parole della Merkel, come i Quattro di Visegrad; e chi lavora per coagularvi intorno consensi, magari a geometria variabile, su Dublino, i ‘secondari’, la Turchia e l’Africa.