Va in scena un classico europeo: man mano che l’evento tanto atteso s’avvicina le grandi speranze che esso aveva catalizzato si rimpiccioliscono, in una sorta d’effetto doppler rovesciato. A meno d’una settimana dal Vertice europeo del 28 e 29 giugno, a 48 ore dall’incontro ristretto preliminare di domani a Bruxelles, la cancelliera tedesca Angela Merkel mette le mani avanti: sull’immigrazione, nessuna soluzione comune scaturirà dal consulto fra i capi di Stato e di governo dei 28 (al massimo, intese tra singoli Paesi); e l’appuntamento di domani si ridurrà a uno scambio d’idee preparatorio.
Che l’intesa sia lontana, lo si capisce da numerosi segnali coincidenti. Il primo e più significativo è la cacofonia delle posizioni espresse da diverse capitali; il secondo è il moltiplicarsi dei Paesi che annunciano la presenza domani a Bruxelles: inizialmente, dovevano essere solo quattro, i ‘grandi’, Francia, Germania, Italia e Spagna; a conti fatti, saranno almeno 16, con i tre del Benelux, Grecia e Malta, i nordici Svezia, Danimarca, Finlandia, la Bulgaria e l’Austria – presidenza uscente e subentrante del Consiglio dell’Ue -, la Slovenia e persino la Croazia ‘in odore di Visegrad’, dopo l’esito delle ultime elezioni.
Altri Paesi potrebbero ancora aggiungersi: l’incontro è aperto a tutti, fa sapere Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione europea, cui si deve l’iniziativa del Vertice pre-Vertice. Di sicuro, non ci saranno i quattro del Gruppo di Visegrad, Polonia, Rep. Ceca, Slovacchia e Ungheria, che bollano a priori come “inaccettabili” le proposte sul tappeto – del resto, per loro sono “inaccettabili” pure le decisioni formalmente adottate dal Consiglio europeo, come la redistribuzione dei migranti, che, infatti, non praticano -.
La Bulgaria ha pronto un piano da presentare ai partner: chiusura immediata delle frontiere esterne dell’Unione; apertura in Turchia e in Libia di hotspot dove ‘selezionare’ i richiedenti asilo; e, dopo avere arginato il flusso, esame delle posizioni dei migranti già arrivati, accogliendo i rifugiati e respingendo gli altri. Nell’Unione, tutti sanno che i piani presentati all’ultimo momento hanno poche chances di essere approvati: le decisioni vanno maturate e digerite, prima di essere prese. E, dunque, la Merkel avrà una volta di più ragione: uno scambio d’opinioni domani, nessuna decisione venerdì prossimo, ma al più intese tra Paesi in attesa che si delinei una posizione comune – sul tema, i leader possono decidere a maggioranza, non è necessaria l’uanimità -.
La cancelliera prova a smorzare le tensioni nel suo governo: il ministro dell’Interno Horst Seehofer minaccia di chiudere le frontiere senza un accordo il 29 a Bruxelles. Il contesto internazionale può darle una mano: la guerra dei dazi rilanciata dagli Stati Uniti di Donald Trump – obiettivo, le auto – e l’uscita dalla tutela della Grecia possono offrire ai leader dell’Ue la tentazione di guardare altrove. Ma, così facendo, tradirebbero le attese e le priorità delle opinioni pubbliche, in un’Europa dove uno studio rileva “la crescita implacabile nel 2017 del populismo xenofobo”, mentre la popolazione cala all’Est senza migranti e cresce all’Ovest grazie ai migranti.