Sorpresa! Chi ne esce meno peggio, da un G7 con il finale convulso e il veleno nella coda, è proprio il professore esordiente, il presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte: nessuno se ne aspetta nulla; e lui riesce a districarsi tra Donald Trump e i leader europei, si prende gli elogi del magnate (e un invito alla Casa Bianca), senza rompere con i partner dell’Ue. Conte e il premier giapponese Shenzo Abe – i giapponesi sono maestri nel defilarsi in queste circostanze – sono gli unici che tornano a casa senza le ossa rotte dal disastro diplomatico di Charlevoix, Quebec, Canada.
In questo contesto teso e increspato, il professor Conte è riuscito a costruirsi un suo G7 particolare: da neofita, ne giudica il bilancio “molto positivo” e afferma che non c’è conflitto “nel rapporto dell’Italia con Usa ed Ue”; constata che Trump mostra “attenzione e apertura” per il suo governo; e si barcamena sulla Russia (“Ha un ruolo cruciale, ci vuole dialogo”), sulle missioni militari italiane all’estero (“Le valuteremo, ma non c’è nessun disimpegno”), sui dazi (“Non ne siamo contenti, sono svantaggiosi per l’Italia e l’Ue”).
Senza avere accanto gli angeli custodi Salvini e Di Maio, il premier pare più sicuro di sé al Vertice che non nel chiedere la fiducia al Parlamento. Conte schiva pure, almeno questa volta, le ramanzine sul debito dei partner e delle istituzioni (la signora Lagarde non gli esprime le preoccupazioni quasi rituali dell’Fmi per l’Italia), in attesa di momenti di confronto più specifici e più dettagliati. A fine mese, lo attende il Vertice dell’Ue a Bruxelles; a luglio, quello della Nato, sempre a Bruxelles.
Il neo più grosso nella prestazione del professor Conte è l’essere rimasto fuori dalla foto simbolo del G7, scattata da Jesco Denzel, fotografo ufficiale della delegazione tedesca. Nell’immagine, c’è tutta la dinamica della riunione: un Trump in versione Custer, con due fedelissimi accanto – Bolton e Kudlow -, ‘assediato’ da una torma di europei, un’aggressiva Merkel, Macron, la May; Abe, preso in mezzo, cerca di scomparire.
Che cos’è dunque successo? A cose fatte Trump manda all’aria con un tweet le conclusioni sbiadite e indolori di un G7 che aveva già cercato di sabotare, ponendo in extremis la questione del ritorno della Russia fra i Grandi (che non era all’ordine del giorno).
A lavori ultimati, e a remoto, il presidente Usa se la prende col padrone di casa, il premier canadese Justin Trudeau, “debole e disonesto”, e straccia metaforicamente le conclusioni faticosamente raggiunte sul commercio internazionale – poco più di acqua fresca -. Le colpe di Trudeau? Avere aperto i lavori della seconda giornata senza aspettarlo e avere poi definito, in conferenza stampa, “un insulto” i dazi degli Usa sull’acciaio e l’alluminio europei e canadesi.
Così facendo, Trump sancisce l’inadeguatezza dei Vertici dei Grandi e forse ne accelera il tramonto. La Casa Bianca si sente “pugnalata” da Trudeau, gli europei si sentono presi in giro dagli americani. Le reazioni sono irritate e velenose: la Merkel parla di “fiducia tradita” e di “credibilità del G7 distrutta”; Macron invita a evitare che “scoppi d’ira determinino l’agenda” dei leader; l’Ue s’attiene al testo concordato. In un’analisi, il New York Times nota che Trump ha messo un cuneo tra gli Stati Uniti e i loro alleati, lasciando vacante il suo posto – lo fece pure al G7 di Taormina, quando rimase isolato sul clima, e l’ha rifatto in Canada, isolato sul commercio – e abdicando alla propria leadeship.
Che sia calcolo – ma quale? – o impuntatura, interesse nazionale leso o ego personale ferito, ancora una volta, Trump spariglia i giochi: il compromesso raggiunto a Charlevoix è nullo e non avvenuto; e le dichiarazioni rese dagli altri leader a fine lavori sono tutte basate su una presunzione di accordo sul commercio internazionale cancellata da Trump ex post. Il testo era quasi surreale: un impegno anti-protezionismo, proprio mentre l’America conduce una crociata protezionistica contro partner e alleati.