Se fare andare tutto a catafascio è una vittoria, allora ha ragione il ministro dell’Interno Salvini: l’Italia ha registrato un successo, perché pare ormai chiaro, al di là delle dichiarazioni di circostanza dei responsabili comunitari, che la riforma del Protocollo di Dublino non si farà al Vertice europeo di fine giugno, come si poteva ancora sperare fino a ieri.
Assente alla riunione di ieri a Lussemburgo dei ministri dell’Interno dei 28 sui migranti, Salvini canta vittoria ‘a remoto’: “Abbiamo bloccato la contro-riforma, non siamo più soli nell’Ue”. Tradotto dalla propaganda alla realtà, significa che abbiamo piantato in asso la Grecia e mollato quanti lavorano per migliorare il regolamento di Dublino e ci schieriamo fianco a fianco con i Paesi del Gruppo di Visegrad e i loro recenti alleati Austria e Slovenia.
Il salto della quaglia di Roma, dal campo di quanti cercano di migliorare la bozza di compromesso messa sul tavolo dalla presidenza di turno bulgara del Consiglio al campo di quanti non vogliono sentire parlare di accoglienza e di redistribuzione, ha fatto alzare paletti e riserve da tutte le parti.
A fare il gioco dell’Italia, un po’ a sorpresa, è stato il segretario di Stato belga Theo Francken, nazionalista fiammingo, che sposa le tesi salviniste del blocco delle partenze e dei respingimenti, certificando “la morte” – parole sue – del Protocollo di Dublino, che riguarda i richiedenti asilo e non i migranti economici e che prevede che le domande d’asilo siano valutate dal Paese d’ingresso nell’Unione.
A contestare la dichiarazione di morte del regolamento, il commissario europeo alla Migrazione, Dimitris Avramopoulos, un greco, secondo cui “la riforma – un esercizio che va avanti dal 2016, ormai da 30 mesi, ndr – non è morta, a meno che non la vogliano uccidere”. “L’Ue – assicura Avramopoulos – non seguirà mai il modello australiano: non facciamo respingimenti, perché ci guida il principio del rispetto dei diritti umani e della Convenzione di Ginevra … Non diventeremo la fortezza Europa”.
Secondo fonti nordiche, Francia, Germania e Svezia continuano a lavorare per presentare un’ipotesi di riforma del Protocollo di Dublino al Vertice del 28 e 29 giugno. Il lavoro di tessitura per indurre il Gruppo di Visegrad ad accettare un sistema di ricollocamenti è iniziato due mesi fa. Il trio era, inizialmente, un quartetto, perché ne faceva parte anche l’Italia, poi distaccatasi nella fase del vuoto di governo e ora passata al campo avverso, mentre la Spagna che s’è appena data un nuovo governo s’interroga sulla propria collocazione e l’Olanda osserva che le perplessità sono diffuse. L’Ungheria è il Paese più fermo contro la riforma, ma il provvedimento non richiede l’unanimità: può essere varato a maggioranza qualificata.
La Grecia resta, invece, fedele alle richieste di riforma di Dublino avanzate in un documento scritto ad aprile con Italia, Cipro, Malta, Spagna, dove si puntava fra l’altro al ricollocamento obbligatorio e automatico dei richiedenti asilo. Atene spera ancora in un compromesso che rispetti le condizioni dei ‘mediterranei’, la cui coesione s’è però ieri sfaldata. E l’Austria, che il 1° luglio darà il cambio alla Bulgaria alla presidenza di turno del Consiglio, vede già nell’Italia di Salvini “un forte alleato”.
Nazionalisti e sovranisti, destre e xenofobi trovano un collante europeo sui migranti, anche se Budapest e Roma accampano ragioni opposte per dire no alla riforma del regolamento di Dublino.