Un doppio paradosso segna i primi passi della gestione dell’immigrazione da parte del ministro dell’Interno Matteo Salvini. Primo paradosso: l’Italia si schiera di punto in bianco contro la riforma del regolamento di Dublino, che ha sempre chiesto. Secondo paradosso: il ministro, che è ovunque, non sarà oggi nel posto giusto per difendere gli interessi italiani in Europa sul fronte migranti, cioè alla riunione a Lussemburgo dei ministri dell’Interno, l’ultima prima del Vertice di fine giugno (28 e 29), quando i capi di Stato e di governo dei Paesi dell’Ue dovrebbero varare la riforma.
Dovrebbero, perché il dossier è controverso: la presidenza di turno bulgara del Consiglio esercita un’influenza modesta; e la defezione dell’Italia rischia di risultare letale per la riforma. Un conto è battersi per ottenerne modifiche, un altro affossare il progetto.
Il protocollo di Dublino, che prevede che i Paesi di primo ingresso esaminino le domande d’asilo, risale al 1996 e fu riformato nel 2003, con l’avallo dell’Italia. Ma, allora, i migranti venivano da Est e il Paese di prima accoglienza era la Germania.
Sono oltre una dozzina i Paesi pronti a dire no, per motivi diversi, talora opposti, al compromesso della presidenza bulgara, sul tavolo oggi a Lussemburgo. Da una parte, ci sono i quattro del Gruppo di Visegrad, contrari a ogni ricollocamento, cui prestano manforte i tre Baltici e l’Austria e cui può ora aggiungersi la Slovenia, dopo il successo nelle elezioni di domenica del Partito anti-migranti (Dsd). Dall’altra, il fronte mediterraneo guidato dall’Italia, che giudica le proposte insufficienti. Grecia, Cipro e Malta sono pronte a negoziare, in attesa che la Spagna del neo-premier socialista Pedro Sanchez scopra le carte. Perplessità, infine, ci sono da parte olandese.
Pronti a lavorare sulla bozza sono Germania e Francia, con Belgio, Lussemburgo, i Nordici e altri. Con l’Italia contro, il sostegno di Parigi e Berlino non basterà ad andare avanti nel solco tracciato negli ultimi 30 mesi. Il cambio di rotta italiano spingerebbe la discussione su un binario morto: obiettivo, ripartire su nuovi presupposti da luglio sotto presidenza austriaca, puntando sulla messa in sicurezza delle frontiere esterne e sui rimpatri – la linea Salvini -.
Il portavoce della Commissione europea Margaritis Schinas affida a Cicerone (“Dum spiro, spero”) la speranza di accordo a fine mese, le Istituzioni europee puntano sull’unanimità, ma la decisione può essere presa, a termini di Trattato, a maggioranza qualificata.
Si ipotizzano tre scenari per il Vertice europeo di fine giugno. Lo scenario più radicale, indebolito però dal ‘contrordine’ italiano, è il lancio d’una cooperazione rafforzata fra ‘Paesi volenterosi’, che comporterebbe una ridefinizione dell’area Schengen (Italia e Paesi mediterranei ne farebbero parte). La scenario del compromesso è che la bozza bulgara alla fine passi a maggioranza qualificata. Altri infine puntano a ripartire da zero, spostando l’attenzione sulla protezione delle frontiere esterne e sui rimpatri.
In ogni caso, per incidere sull’una o sull’altra soluzione, bisogna partecipare alla discussione. “Sarebbe più saggio parlarne insieme – si osserva a Bruxelles -: l’occasione è il Consiglio di oggi”, dove Salvini non ci sarà.