Al giovane Macron, presidente da meno di tre mesi, la mossa libica riuscì bene nel luglio scorso: alla Celle-St.Cloud riunì a sorpresa, in barba anche all’Italia, il premier Fayez al-Sarraj riconosciuto dalla comunità internazionale e il maresciallo Khalifa Haftar, l’uomo forte di Tobruk e dell’Est, volta a volta interlocutore privilegiato della Cia, di Mosca, dell’Egitto.
Ieri, al presidente francese ormai ‘stagionato’, al potere da oltre un anno e senza più l’aura d’onnipotenza e d’infallibilità che lo accompagnava nei suoi primi passi, la mossa libica è riuscita meno bene, molto meno bene: in un vertice a Parigi, il percorso verso nuove elezioni il 10 dicembre è stato discusso e informalmente approvato, ma i partecipanti alla riunione non hanno firmato nessun impegno.
Macron ha spiegato la mancata firma “per due motivi fondamentali. Primo: alcuni partecipanti vogliono prima potere condividere la dichiarazione congiunta coi loro referenti sul territorio libico. Secondo, intorno al tavolo c’erano rappresentanti di istituzioni che non si riconoscono l’un l’altra”.
Ma è esattamente questa la difficoltà della situazione in Libia: una guerra per bande, o per fazioni, che va avanti da anni e dove il controllo del territorio lo hanno milizie. L’indebolimento di Haftar non ha semplificato, ma ha anzi complicato la situazione. Così Macron, invece che cercare di avere una firma in calce a un pezzo di carta, s’è accontentato di una dichiarazione e di una stretta di mano fra i quattro leader libici presenti, il premier al-Sarraj, il maresciallo Haftar, i presidenti della Camera Aguila Salah e del Consiglio di Stato Khaled al-Meshri, con l’Onu, l’Ue, l’Italia e gli altri Paesi coinvolti a fare da mallevadori.
“Noi ci impegniamo – così recita il testo letto ad alta voce nel salone dell’Eliseo dove si svolgeva l’incontro – a lavorare in modo costruttivo con l’Onu per organizzare elezioni credibili e pacifiche ed a rispettare i risultati delle elezioni”. Prima del voto, bisognerà pure trovare un accordo sul rinnovo della Costituzione: la data indicata è il 16 settembre.
Decisiva, in tale quadro, sarebbe un’intesa “inclusiva” fra tutte le componenti del dialogo intra-libico, come da piano dell’inviato Onu Ghassan Salamé. Ma le milizie, al momento, non ci stanno, 13 di esse si sono pure dissociate dalla riunione di Parigi.
L’Italia, che ha sempre ambito a un ruolo di primo piano in Libia, sua ex colonia, aveva a Parigi una presenza diplomatica, non politica, con l’ambasciatore Teresa Castaldo: un po’ per via del marasma a Roma; e un po’ per non dare troppa enfasi all’iniziativa francese – Macron ha comunque elogiato “l’impegno esemplare” italiano -.
La Castaldo esprime l’auspicio di “un passo avanti” verso la soluzione delle diatribe libiche e dice: “La stabilizzazione e la pacificazione della Libia, e il completamento della transizione politica del Paese”, sono “una priorità strategica per Italia e per l’Onu”, come pure le prospettive di stabilità del Mediterraneo e la lotta al terrorismo e al traffico d’esseri umani. Per la quale lotta, avverte al-Sarraj, serve “uno sforzo colossale”, mentre il ritmo degli sbarchi in Italia sale da giorni.
L’impressione è che siamo alle parole, per non dire alle chiacchiere. Davanti al Parlamento europeo Federica Mogherini è più positiva: “Siamo impegnati nel processo che porterà alle elezioni in Libia entro fine anno, tutti dobbiamo dare un contributo, Ue, Unione africana, Lega Araba, Paesi vicini”. Per il ‘ministro degli Esteri’ europeo, “la situazione sta leggermente migliorando”, ma “il terrorismo non è sconfitto”, come la bomba a Bengasi venerdì scorso conferma.