I dossier s’impilano sulla scrivania di Donald Trump, manco fosse il presidente degli Stati Uniti (e non un magnate che tratta i destini del Mondo come se fossero affari suoi): la guerra delle sanzioni con l’Iran, la tregua dei dazi con la Cina, oggi la pace in Corea, l’Asia gli scorre tra le dita. Ieri, c’è stata un’accelerazione sul fronte iraniano, dopo una decelerazione, domenica, su quello cinese.
A due settimane dall’annuncio dell’uscita degli Usa dall’accordo sul nucleare con l’Iran, contro l’avviso degli alleati europei, oltre che di Onu, Russia e Cina, il segretario di Stato Mike Pompeo agita il bastone delle “sanzioni più forti della storia” contro Teheran, se l’Iran “non cambia corso”. La carota è la fine delle sanzioni e il ritorno alla pienezza dei rapporti diplomatici e commerciali, se il regime iraniano compie “cambiamenti significativi”: che Trump pensi al ritorno dello Scià?
L’Iran, per ora, non ha neppure risposto. L’unico leader ad apprezzare l’approccio americano è stato il premier israeliano Benjamin Netanyahu: “Solo così si può garantire la pace”, dice. Da Mosca, invece, fonti diplomatiche notano che annunci del genere rischiano di rafforzare l’approccio radicale di Teheran sulle questioni regionali e di avere un effetto negativo sulla situazione in Siria, dove, intanto, il presidente al-Assad riprende, per la prima volta da sette anni, il controllo di tutta l’area della capitale Damasco.
All’Iran, Pompeo ha presentato una lista di 12 ‘richieste base’: fra l’altro, interrompere l’arricchimento dell’uranio – anche quello consentito per usi civili dall’accordo -, non processare plutonio, consentire l’accesso “a tutti i siti in tutto il Paese”, togliere il sostegno agli Huthi – ribelli sciiti yemeniti -, ritirare tutte le forze dalla Siria, porre fine alle minacce verso Israele e liberare cittadini americani detenuti. “Gli Usa – si osserva a Mosca – non riusciranno a intimidire Teheran, con un linguaggio del genere … E anche quanti in Iran non sostengono l’attuale leadership finirebbero con lo schierarsi con il loro Paese in caso di scontro”.
L’aumento della tensione sul fronte iraniano, dove Teheran valuta insufficiente l’appoggio europeo all’accordo nucleare e promette all’Ue livelli d’export energetico invariati, segue d’un giorno il calo della tensione sul fronte cinese. “Mettiamo in pausa la guerra commerciale”, dice Steven Mnuchin, segretario al Tesoto, salvo poi correggersi: “Nessuna guerra, solo una disputa commerciale”.
La tregua – dazi sospesi, negoziati protratti – è stata accolta positivamente, ma senza entusiasmi, dalle borse asiatiche ed è subito finita sotto tiro dall’ala ‘trumpoiana’ più protezionistica. Tempo dieci giorni e scadrà la dilazione sui dazi concessa all’Europa fino al primo giugno: la trattativa prosegue, l’esito resta incerto.
Come lo sono le prospettive del negoziato con la Nord Corea: Trump riceverà oggi alla Casa Bianca il presidente sudcoreano Moon Jae-in, gran tessitore della pace coreana.