Per la strage al liceo di Santa Fé, Netflix ha cancellato la serata di gala, con tanto di red carpet e party, per il lancio della seconda stagione della serie drammatica per teenager ‘13 Reasons Why’: un atto di sensibilità, anche perché, dopo che la prima stagione s’era conclusa con il suicidio di una delle protagoniste, Hannah, e con l’immagine di un altro teenager, Tyler, tra un mucchio di armi, nella seconda stagione c’è un episodio in cui uno studente progetta un attacco, sventato, a una scuola di danze.
Alla serata di gala, dovevano esserci le star della serie e la produttrice Selena Gomez. La sensibilità di Netflix non è arrivata fino a rinviare il lancio della seconda stagione, che è disponibile online. Forse per non essere da meno dell’azienda che distribuisce contenuti d’intrattenimento, il presidente Trump ha ordinato bandiere a mezz’asta sino al 22 maggio, alla Casa Bianca e su tutti gli edifici pubblici americani, in segno di “solenne rispetto” per le vittime della sparatoria di Santa Fé (una in Texas, non la più famosa in New Mexico).
I morti sono stati almeno 10, fra cui un’insegnante supplente e nove studenti, e i feriti altrettanti. Lo sparatore, uno studente d’origine greca che, nell’abbigliamento, s’era ispirato agli studenti killers del liceo di Columbine, non s’è suicidato né è stato abbattuto: arrestato, ora rischia la pena di morte.
La strage di Santa Fé, a due mesi da quella – ancora più grave – del liceo di Parkland in Florida era stata la 22° sparatoria scolastica nell’Unione dall’inizio dell’anno, secondo le statistiche concordi dei media Usa. Ma ora siamo già a 23, perché, venerdì sera, una persona è morta e un’altra è rimasta ferita in un sparatoria al termine di una cerimonia per la consegna dei diplomi nel campus della Mt. Zion High School di Jonesboro, a sud di Atlanta, in Georgia. Ci sarebbe stata una lite tra persone che raggiungevano le loro auto e poi gli spari.
Tranquilli!, però. Tempo una settimana e di sparatorie nelle scuole nell’Unione non sentiremo più parlare: non perché Trump o la sua Amministrazione abbiano fatto qualcosa, a parte, ovviamente, promettere che non accadrà mai più e convocare la commissione per il controllo delle armi creata dopo la strage di Parkland; ma perché le scuole chiuderanno, fino al Labor Day, lunedì 3 settembre – avremo forse sparatorie nei summer camps, dove i ragazzi americani passano le loro vacanze -.
Di toccare il II Emendamento della Costituzione Usa, quello del ‘libere armi in libero Stato’, non si parla; e di controlli più stretti sull’acquisto delle armi si parla, ma non si decide nulla. Trump, che ha appena assicurato ‘fedeltà’ alla lobby delle armi, la Nra, al congresso di Dallas, proprio in Texas, mostra invece la consueta efficacia nel tagliare i fondi federali alle cliniche che praticano o propongono l’aborto: un’altra promessa elettorale mantenuta. L’obiettivo è evitare che i contribuenti finanzino aborti.
L’attenzione dei media, e degli inquirenti, si concentra sullo sparatore taxano, Dimitrios Pagourtzis, 17 anni: sui suoi social, una sua foto con una t-shirt con la scritta ‘Born to kill’ (nato per uccidere) e altre immagini con una lunga palandrana verde con simboli nazisti. Il ragazzo giocava nella squadra di football della scuola ed era membro della squadra di danza della locale chiesa greca ortodossa: secondo il WP, sarebbe stato ‘bullizzato’ da compagni di classe e da un suo allenatore.
Pagourtzis, 17 anni, è comparso in tribunale, apparentemente calmo e tranquillo. Il giudice gli ha, ovviamente, negato la libertà su cauzione. Agli inquirenti lui ha raccontato d’avere agito da solo – altri due studenti fermati dopo la strage sono risultati estranei all’accaduto -; e di avere risparmiato compagni e insegnanti che gli piacevano perché potessero raccontare la sua storia.