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Terrorismo: Indonesia, colpi di coda o lancio d’un’offensiva

Scritto per La Voce e il Tempo che esce il 17/05/2018 in data 20/05/2018

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Colpi di coda di un terrorismo ormai sconfitto, ridotto ad arruolare famiglie fanatiche, dopo la rotta del sedicente Stato islamico, l’Isis, tra Iraq e Siria. Oppure, avvisaglie d’una nuova fase di sangue e orrore, lungo i percorsi della diaspora – o del ritorno a casa – di miliziani in fuga e foreign fighters alla ricerca di nuovi santuari, in Africa nel Sahel, in Nigeria, in Somalia, e in Asia, in Afghanistan soprattutto. Oppure, né l’uno né l’altro: fatti a sé, nel più popoloso Paese musulmano al Mondo, l’Indonesia, più di 250 milioni di abitanti, già teatro d’attentati cruenti, epicentro d’una mezzaluna tra arcipelaghi e continente, dalle Filippine al Bangladesh, dove l’integralismo ha già colpito più volte, facendo anche vittime italiane.

L’Indonesia è in stato di massima allerta dopo atti di terrorismo inediti, ad opera di famiglie cellule, anche se alcuni bersagli, chiese cristiane, non sono una novità: colpite nel Nord Africa e nell’Africa sub-sahariana e nera, in Pakistan e sporadicamente un po’ ovunque in Asia. L’Indonesia è lontana, la mobilitazione internazionale relativa: se ne commuove, all’Angelus, Papa Francesco, e giungono al Paese colpito messaggi di solidarietà e vicinanza – uno dal presidente Mattarella -.

Le famiglie kamikaze – Tra domenica e lunedì, almeno tre famiglie kamikaze hanno perpetrato attacchi in sequenza, a Surabaya, una città di quasi tre milioni di abitanti, la seconda più popolosa del Paese, nell’est dell’isola di Giava, dove – ad ovest – c’è pure la capitale Giakarta.

Domenica, il triplice attentato contro chiese cristiane, fatto da due genitori con i loro quattro figli. Lunedì, un attacco con esplosivo al quartier generale della polizia, compiuto da un’altra famiglia – cinque componenti, tra cui una bambina sopravvissuta -.

E mercoledì, all’alba, quattro uomini armati di spade hanno attaccato una sede della polizia sull’isola di Sumatra, uccidendo un agente, prima di essere abbattuti a colpi di arma da fuoco. Complessivamente, una ventina di vittime e decine di feriti.

Altre tre persone sono morte lunedì sera nel loro appartamento, pare per l’esplosione di una bomba che stavano preparando in casa – due sono sopravvissute -: questa famiglia sarebbe stata in contatto con quella delle chiese. E, martedì, la polizia indonesiana ha ucciso un sospetto militante islamico ed ha arrestato altre 13 persone forse coinvolte negli attacchi. Solo pochi giorni prima, in un carcere di massima di sicurezza a Depok, alla periferia di Giakarta, detenuti condannati per terrorismo avevano preso in ostaggio nove agenti del corpo di élite anti-terrorismo Densus 88, uccidendone cinque dopo averli torturati. La rivolta era stata poi sedata dalle forze di sicurezza, facendo tre morti tra i rivoltosi.

Gli attacchi di Surabaya potrebbero essere una rappresaglia per gli eventi di Depok. E nel contempo i segnali di un’escalation di violenza da parte di integralisti indonesiani reduci dalla Siria – sono centinaia -, anche se le notizie che davano gli attentatori delle chiese come foreign fighters da poco rientrati in patria sono state smentite.

Sono almeno due decenni che l’estremismo islamico rappresenta un pericolo nell’arcipelago, anche se la maggior parte della popolazione segua un Islam moderato e lo Stato riconosce cinque religioni (i musulmani sono l’87%). La frangia radicale è in crescita e le autorità hanno condotto operazioni anti-terrorismo, indebolendo le capacità operative dei gruppi legati ad Al Qaida. Di recente sono però emerse strutture ispirate all’Isis, che prendono di mira in genere obiettivi istituzionali. Ricostruiamo gli eventi con ordine.

Domenica di sangue nelle chiese – Quella di domenica è stata una strage di cristiani, nella serie d’attentati più grave in Indonesia da almeno 15 anni; e per la prima volta con una kamikaze donna. Il Paese conobbe violenza peggiore il 12 ottobre 2002, quando un’autobomba esplose fra i turisti dell’isola di Bali, nella zona di Kuta, facendo oltre 200 vittime: un attacco firmato, come accadeva allora, da al Qaida e da sigle sue affiliate. Gli attacchi contro la minoranza cristiana – circa il 9 % della popolazione – sono i più gravi dagli assalti coordinati della vigilia di Natale nel 2000, quando morirono 15 persone.

Tre esplosioni all’esterno di tre diverse chiese a Surabaya hanno causato almeno 14 morti e oltre 40 feriti. L’azione, rivendicata dall’Isis, è stata compiuta da un’intera famiglia di sei persone: i genitori e quattro figli tra i 9 e i 18 anni. Sui luoghi dell’attentato, il presidente indonesiano Joko Widodo ha parlato di “azioni codarde, barbare e al di là di ogni limite di umanità”.

Le tre esplosioni sono avvenute a distanza di pochi minuti una dall’altra attorno alle 07.30 locali, quando ci si preparava alle messe. Il primo attacco ha colpito la chiesa cattolica di Santa Maria, dove i due figli adolescenti (18 e 16 anni) della famiglia kamizake si sono fatti saltare in aria. Poco dopo, il padre ha guidato un’autobomba contro una chiesa pentecostale. E, infine, la madre s’è fatta saltare in aria assieme ai due figli più piccoli all’esterno di una chiesa calvinista.

Il profilo Facebook di Puji Kuswati, la madre kamikaze con le due figlie di 12 e 9 anni, anch’esse dotate di cinture-bomba, non ha tracce di radicalizzazione: foto di figli, di gatti, d’una gita familiare con rafting sul fiume.

L’intelligence pensa che la famiglia fosse parte del gruppo Jemaah Anshorut Daulah (Jad), una rete di decine di miliziani che tre anni fa hanno giurato fedeltà allo Stato islamico e che l’anno scorso si sono già resi protagonisti di attacchi minori. Quattro militanti del Jad erano stati uccisi dalla polizia all’alba di domenica, nell’ovest dell’isola di Giava, ma non è chiaro se vi sia un nesso tra sparatorie e attacchi.

Lunedì, l’attacco alla sede della polizia – L’attentato di lunedì è avvenuto attorno alle 08.50 locali, fuori dalla sede centrale della polizia, ed è stato ripreso dalle telecamere di sicurezza: due motorini si sono avvicinati al posto di blocco all’entrata e sono esplosi quasi contemporaneamente, uccidendo quattro attentatori e ferendo sei civili e quattro agenti. E’ sopravvissuta una bambina di otto anni, seduta tra il padre e la madre.

Anche in questo caso, si guarda al Jad, “il più pericoloso gruppo terroristico in Indonesia”, secondo gli inquirenti. Un nuovo provvedimento anti-terrorismo è fermo da tempo in Parlamento: l’ondata d’attacchi potrebbe accelerarne l’adozione.

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gphttps://giampierogramaglia.eu
Giampiero Gramaglia, nato a Saluzzo (Cn) nel 1950, è un noto giornalista italiano. Svolge questa professione dal 1972, ha lavorato all'ANSA per ben trent'anni e attualmente continua a scrivere articoli per diverse testate giornalistiche. Puoi rimanere connesso con Giampiero Gramaglia su Twitter

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