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Corea: Vertice, tacciono gli altoparlanti, parlano i leader

Scritto per La Voce e il Tempo uscito il 26/04/2018 in data 29/04/2018

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Lunedì 23 aprile, i potenti altoparlanti che per decenni hanno rovesciato ad alto volume musica pop e propaganda politica dalla Corea del Sud verso quella del Nord sono improvvisamente diventati muti, in vista del Vertice tra i presidenti sudcoreano Moon Jae-in e nordcoreano Kim Jong-un, venerdì 27, a Panmunjon, il villaggio sul confine tra le due Coree che corre lungo il 38° parallelo. Lì, venne firmato l’armistizio del 1953, che pose fine alla Guerra di Corea e che, 58 anni dopo, non s’è ancora tramutato in un trattato di pace. L’edificio della firma sorge proprio a cavallo della linea di demarcazione che attraversa la zona demilitarizzata: anche il tavolo attorno al quale si riunirono le delegazioni è diviso dal confine.

L’incontro tra Kim e Moon il primo Vertice dal 2007 tra leader dei due Paesi ed è il terzo in assoluto dopo quelli del 2000 e appunto del 2007, sotto il segno della ‘sunshine policy’, cioè del riavvicinamento tra le due Coree avviato nel 1998 dall’allora presidente sud-coreano Kim Dae-Jung e portato avanti dal suo successore Roh Moo-hyun, mentore politico dell’attuale presidente. Nei due casi precedenti, il protagonista nordcoreano era Kim Jong-il, padre dell’attuale Kim, terzo rampollo d’una dinastia comunista inaugurata nel dopoguerra da nonno Kim Il-sung.

Il Vertice tra Moon e Kim s’inserisce in una sequenza di incontri frutto della diplomazia olimpica che, complici i Giochi d’Inverno in Corea del Sud a febbraio, ha avviato un processo di distensione dopo un anno passato dal dittatore Kim e dal presidente Usa Donald Trump a prendersi a neppur troppo metaforiche pallate – test nucleari e missilistici da una parte, manovre e sanzioni dall’altra -.

Kim ha compiuto una visita sorpresa a Pechino, dove il 28 marzo ha visto Xi Jinping, e ha ricevuto a Pyongyang, a Pasqua, in gran segreto, Mike Pompeo, segretario di Stato Usa in pectore. E, dopo Moon, vedrà Trump, si dice ai primi di giugno. Ma nessun risultato positivo è acquisito, nonostante i segnali positivi non manchino.

Nell’imminenza del Vertice con Moon e in vista di quello con Trump, Kim ha fatto un annuncio importante, senza però privarsi di nessuna carta: “La Corea del Nord non effettuerà più test nucleari e missilistici”, perché “non ce n’è più bisogno” in quanto “siamo in una nuova fase della storia”. E il presidente fa l’elenco dei successi militari conseguiti – test nucleari di vario tipo, miniaturizzazione delle ogive e acquisizione di sistemi missilistici adeguati -.

“Una grande notizia per la Corea del Nord e per il Mondo intero”, gli ha subito fatto eco Trump che si conferma uno specialista del fuori misura, nel bene e nel male; “un grande progresso”, aggiunge il presidente Usa , che adesso non vede l’ora di fare il Vertice con il leader nordcoreano, alias “rocketman”, “palla-di-lardo”, “pazzo che non si cura di affamare o uccidere il proprio popolo” e vari altri nomignoli affibbiatigli di tweet in tweet fino alla ‘grande distensione’ abbozzata a inizio anno.

“Chiuderemo anche il nostro sito nucleare nel nord del Paese”, dove sono stati compiuti gli ultimi sei esperimenti atomici, promette il dittatore, rivolgendosi al partito a alla Nazione. Ma le bombe non vengono distrutte – esperti calcolano che ve ne siano una decina negli arsenali nord-coreani – e i missili restano operativi. La via della de-nuclearizzazione della penisola è ancora lunga e passa attraverso un accordo da negoziare: al tavolo, Kim si presenta avendo già fatto concessioni, che, quindi, non appariranno cedimenti agli occhi dei suoi connazionali.

L’’agenzia di Stato nordcoreana Kcna e la tv pubblica riferiscono le parole esatte del terzo rampollo della dinastia comunista: cogliere “l’opportunità storica” di un riavvicinamento con gli altri Paesi e di un pieno riconoscimento della Corea del Nord da parte della comunità internazionale, concentrandosi – sottolinea il leader di Pyongyang – sulla ripresa economica.

E qui sta una chiave, se non la chiave, del successo del negoziato che verrà: Kim dichiara raggiunti gli obiettivi militari e vuole ora concentrarsi sullo sviluppo economico. L’obiettivo è che in cambio vengano presto ritirate, magari gradualmente, le sanzioni e che i suoi alleati e i suoi interlocutori gli diano aiuti – anche umanitari – e assistenza economica e finanziaria.

Inoltre, ci sarà da trattare sulla verificabilità degli impegni assunti dal regime nordcoreano, con ispezioni internazionali; e c’è chi s’aspetta che la Corea del Nord aderisca al Trattato contro la proliferazione nucleare e consenta la denuclearizzazione della penisola.

Presentato in tv dalla solita paffutella annunciatrice di rosa vestita dei grandi successi nord-coreani, esperimenti nucleari o lanci missilistici, il messaggio letto da Kim al comitato centrale del Partito dei Lavoratori può avere sviluppi importanti. Si vedono le premesse perché l’armistizio diventi finalmente una pace e perché il regime di Pyongyang cessi di essere percepito come una minaccia dagli Stati Uniti e dai loro alleati nell’Estremo Oriente, Corea del Sud e Giappone in prima linea. Ma bisogna fare i conti con l’imprevedibilità e la suscettibilità delle ‘prime donne’ della trattativa, Kim e Trump.

Entusiasmi di Trump a parte, le reazioni all’annuncio di Kim sono state largamente positive: Moon, che è il vero artefice di questo processo e che ora dispone pure della prima linea rossa mai installata tra Seul e Pyongyang, perché i due presidenti possano sentirsi direttamente in ogni momento, vede “progressi significativi” verso la denuclearizzazione della penisola coreana. Il premier giapponese Shinzo Abe, che è appena stato negli Usa, è più cauto: il passo di Kim è “positivo”, ma “non sufficiente”. Tokyo continuerà a monitorare le mosse del regime di Pyongyang: “Le nostre politiche non cambieranno fino a quando non vedremo l’irreversibilità del processo di denuclearizzazione della penisola coreana”, dice Abe.

La Cina plaude alla sospensione dei test, Mosca chiede che ora Usa e Corea del Sud riducano l’attività militare. Il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres e Federica Mogherini, a nome dell’Ue, parlano all’unisono di “passo avanti”. La Corea, che cento giorni fa pareva di nuovo sull’orlo della guerra, è sull’orlo della pace?

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Giampiero Gramaglia, nato a Saluzzo (Cn) nel 1950, è un noto giornalista italiano. Svolge questa professione dal 1972, ha lavorato all'ANSA per ben trent'anni e attualmente continua a scrivere articoli per diverse testate giornalistiche. Puoi rimanere connesso con Giampiero Gramaglia su Twitter

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