Israele esce allo scoperto. E l’America di Trump pure, lasciando con un palmo di naso, a fare un po’ la figura del fesso, il presidente francese Emmanuel Macron. La premier britannica Theresa May vive ai Comuni un pomeriggio sui carboni ardenti: l’opposizione la ‘griglia’ per l’attacco sulla Siria con missili e aerei nella notte tra venerdì e sabato. Di tutti i leader coinvolti nell’operazione ‘distruzione capacità chimiche’ del regime siriano, l’unico che non pare sgualcito dall’accaduto è proprio il presidente siriano Bashar al-Assad: adesso, ha un motivo in più per massacrare l’opposizione – lui, ovviamente, dice “sradicare dal Paese i terroristi” -.
La Casa Bianca prepara nuove sanzioni contro la Russia – l’annuncio è imminente -, per il sostegno di Mosca al regime di al-Assad. Il Cremlino prepara risposte colpo su colpo, ma auspica la ripresa di un “dialogo” con Washington. Riti della diplomazia senza seguito, per ora, al Palazzo di Vetro.
L’Opac, cioè l’Agenzia dell’Onu che sorveglia la distruzione degli arsenali chimici, non ha ancora iniziato ad ispezionare a Duma la scena dell’attacco chimico del 7 aprile all’origine della reazione tripartita Usa-Gbr-Francia. Gli ispettori sono sul posto, ma forze lealiste e polizia russa non hanno finora permesso loro d’avvicinarsi ai luoghi dove sono morte una settantina di persone. E, intanto, all’Aja, al Vertice dell’Opac, si intrecciano le accuse tra Usa e Russia: “Non volete che scopriamo quel che è davvero accaduto”, “Con il vostro attacco avete compromesso la ‘scena del crimine’”.
Andiamo con ordine. Da Israele arriva la conferma che le esplosioni e i morti nei pressi di Aleppo, nella notte tra sabato e domenica, erano un attacco israeliano su obiettivi iraniani in Siria. Ed era opera di Israele anche il precedente raid sulla base aerea T-4 vicino a Palmira: risposte al lancio d’un drone carico di esplosivi sullo spazio aereo israeliano. Il che rischia d’innescare un’escalation regionale ben più che i missili e i raid sui siti chimici di Damasco e Homs: perché l’Iran, con le milizie o con Hezbollah, può benissimo progettare di ‘fargliela pagare’ a Israele.
A Washington, Trump, che non bada ai mugugni del Congresso per non essere stato informato e consultato sull’attacco, smentisce Macron sui tempi della missione in Siria. Il presidente francese pensava di “avere convinto gli Usa a restare” in Siria fino “alla fine del lavoro”. Ma non è così: Trump vuole che i soldati americani – sono 2000 in loco – “tornino a casa appena possibile”. A mettere le cose in ordine in Siria, a pensare al dopo al-Assad – se ce ne sarà uno – e magari a pagare per la ricostruzione, ci pensino gli europei.
Da Lussemburgo, dove si riunisce il Consiglio degli Esteri, l’Ue è “unita nel sostegno al divieto” delle armi chimiche, il cui uso “è inaccettabile”: “Non può esservi impunità e che chi compie atti del genere deve essere ritenuto responsabile”. Il che, però, non sana il fatto che, in assenza dell’avallo dell’Onu, l’azione punitiva Usa-Gbr-Francia è illegittima – i cinesi parlano di “azione senza vergogna” -.
Anche la Lega Araba condanna l’uso delle armi chimiche ma chiede “un’indagine indipendente”, prima di accusare il regime di al-Assad, che, dopo avere ricevuto delegati della Duma russa, s’appresta a ricevere una delegazione iraniana: gli amici si fanno vedere, nel momento del bisogno.
Negli Stati Uniti, c’è chi contesta a Trump l’attacco e chi gliene rimprovera l’inutilità: “Se l’obiettivo – scrive il New York Times – era di evitare che l’Occidente fosse ulteriormente coinvolto in un conflitto che va avanti da sette anni, missili e raid non hanno minimamente inciso sulla dinamica del conflitto”.
Sulla dinamica della presidenza di Trump, invece, rischiano di incidere i vari casi giudiziari che l’assediano. L’ex capo dell’Fbi James Comey, che pubblicizza il suo libro, bolla il presidente come “un mentitore seriale”, “moralmente inadatto” al suo compito, e ne incoraggia l’impeachment. Trump replica dandogli a ripetizione del “verme”: “Se mi attaccano, io rispondo il doppio”.
Il presidente deve pure guardarsi dagli sviluppi del Russiagate, affidato al procuratore speciale Robert Mueller, e dall’inchiesta sul suo avvocato personale Michael Cohen, alla cui udienza preliminare, di fronte alla magistratura ordinaria, s’è ieri presentata Stormy Daniels, pornodiva pagata per tacere una storia con Trump – i fatti sono del 2006 -. Si tratta di decidere se gli inquirenti possano utilizzare, o meno, il materiale sequestrato nello studio dell’avvocato paraninfo.