Donald Trump spalanca le chiuse delle reazioni a catena nella guerra delle spie dichiarata da Londra a Mosca: il magnate presidente decide le espulsioni di 60 diplomatici russi e la chiusura del consolato russo di Seattle. Trump fa l’annuncio poche ore dopo che gli è scoppiata una mina in casa: il racconto alla Cbs della pornodiva Stormy Daniels della sua avventura con il magnate, che non era ancora presidente, ma era già marito di Melania. Lui al solito replica “tutte fake news”, ma la moglie non la prende bene.
Le espulsioni decise da Trump sono motivate dall’avvelenamento dell’ex spia russa Serghiej Skripal e di sua figlia Yulia nel Regno Unito: è la misura più dura presa finora dal presidente nei confronti del Cremlino. Essa innesca un domino di adesioni da parte europea, convinte da parte ucraina e baltica, più o meno riluttanti da parte dei maggiori Paesi Ue.
Anche l’Italia deroga dalla sua linea di maggiore apertura alla Russia rispetto a molti partner e decide due espulsioni, che suscitano levate di scudi nel centro-destra. “Io al governo non avrei mai deciso le espulsioni – dice Matteo Salvini -, che aggravano i problemi invece di risolverli”.
Le mosse americane ed europee scateneranno, inevitabilmente, una reazione a catena di ritorsioni da parte del presidente russo Vladimir Putin, con espulsioni, nella serie ‘occhio per occhio, dente per dente’, di altrettanti diplomatici occidentali da Mosca e un inevitabile inasprimento dei rapporti Est-Ovest, in un clima da nuova Guerra Fredda.
Le decisioni di Washington e delle capitali dell’Ue sono accolte con grande favore dalla premier britannica Theresa May. Germania, Francia e Polonia decidono di allontanare quattro persone; la Lituania espelle tre “funzionari dell’intelligence russa che lavorano sotto copertura diplomatica” e vara altre misure; l’Estonia caccia l’attaché militare; la Lettonia dispone un allontanamento, la Rep. Ceca tre, Danimarca, Olanda e Italia due ciascuno; Finlandia, Svezia, Croazia e Romania uno ciascuno. Anche la Norvegia prende provvedimenti, L’Ucraina, che è fuori dall’Ue, ne manda via 13 (ma Kiev cerca solo pretesti anti-russi).
Tra i 60 funzionari russi espulsi dagli Stati Uniti ve ne sono anche 12 identificati come “funzionari dell’intelligence” che hanno prestato servizio presso l’Onu a New York. Le persone toccate dal decreto di espulsione hanno tempo una settimana per lasciare l’Unione.
Non è chiaro se la mossa di Trump sia, in qualche modo, effetto del rinnovo in senso muscolare della sua squadra di esteri e sicurezza, con l’arrivo di Mike Pompeo e di John Bolton. “La decisione del presidente dimostra che le azioni della Russia comportano conseguenze”, dice l’ambasciatrice all’Onu,Nikki Haley, commentando la notizia. “Al di là dei comportamento destabilizzanti russi in tutto il mondo, come la partecipazione alle atrocità in Siria e le azioni illegali in Ucraina – prosegue la Haley -, ha pure usato un’arma chimica entro i confini di uno dei nostri più stretti alleati”.
Per la Haley, Mosca usa l’Onu come un rifugio sicuro per attività pericolose negli Stati Uniti. “Oggi, noi e molti dei nostri amici stiamo inviando un messaggio chiaro: non tollereremo la loro cattiva condotta”.
In questi match, in realtà chi spara per primo e più alto dichiara la propria impotenza: se la May o Trump privano, da un giorno all’altro, di una ventina o addirittura di una sessantina di diplomatici lo staff russo a Londra o a Washington, vuol dire che sono disposti a privarsi di altrettanti elementi nei loro staff a Mosca. Il che equivale ad ammettere che i rispettivi apparati diplomatici sono ipertrofici.
Le guerre delle spie sono come le guerre dei dazi – e pare che il presidente Trump ci vada volentieri, alle une come alle altre -: non le vince mai nessuno e, a conti fatti, ci perdono sempre un po’ tutti. Di questa, poi, è particolarmente difficile comprendere le reali motivazioni, che si nascondono dietro il paravento delle vicissitudini drammatiche di Serghiej Skripal e di sua figlia Yulia.
Ipotizzare che sia tutta una ‘distrazione di massa’ rispetto alle rivelazioni di Stormy, che nel 2006 “sculacciava” il futuro presidente e che già nel 2011 subiva minacce per tacere e mentire, prima d’essere pagata per starsene zitta, pare eccessivo. Anche nell’America di Trump.