Va a finire che Donald Trump, il presidente eletto con 30 milioni di dollari di contributi della Nra, la lobby della armi, e che si proclamava paladino del II emendamento della Costituzione – quello che dà ad ogni cittadino il diritto di essere armato -, farà quello che Barack Obama e tutti i liberals prima di lui alla Casa Bianca non sono mai riusciti a fare: porre limiti alle vendite delle armi, dare un giro di vite ai controlli, impedirne l’acquisto almeno ai malati di mente, oltre che ai delinquenti.
Per il momento, nulla del genere è successo. Ma le ultime dichiarazioni del presidente Trump vanno in questa direzione, anche se, dopo la strage nel liceo di Parkland in Florida, il magnate ha detto tutto e il contrario di tutto: fare una legge per maggiori controlli; armare i professori e i bidelli; proibire i congegni che trasformano un fucile in un mitragliatore; sempre elogiando il patriottismo della Nra.
Il massacro di Parkland – 17 vittime, ad opera di un ragazzo espulso da scuola, violento e instabile – ha incrinato, più che altre volte in casi simili, la scorza dell’America ‘pro gun’, forse pure per la determinazione degli studenti e l’ampiezza del loro movimento ‘Never again’, ‘Mai più’. D’ora in poi, Walmart, colosso delle vendite al dettaglio americano, non venderà armi e munizioni a chi ha meno di 21 anni. La società s’è anche impegnata a rimuovere i fucili giocattolo che sembrano veri dai suoi scaffali.
Incontrando alla Casa Bianca un gruppo bipartisan di deputati e senatori che vogliono meglio regolamentare la vendita delle armi, Trump s’è detto “ben deciso a trasformare il dolore in azione”: “Scriverò io” , ha detto, un ordine esecutivo per mettere al bando il ‘bump stock‘, il potenziatore delle armi semi-automatiche in armi automatiche, “così voi non dovrete preoccuparvene”.
Il presidente ha poi esortato il Congresso a valutare seriamente la possibilità di “alzare i limiti d’età per l’accesso alle armi”, fissandoli a 21 anni – attualmente, in alcuni Stati un ragazzo di 18 anni non può bere una birra al bar, ma può comprarsi una pistola -. “Pensateci!”, ha detto Trump, quasi sfidando deputati e senatori: “Avete paura della Nra?”. La Casa Bianca chiede una legge bipartisan e “onnicomprensiva”: un progetto già esiste ed ha pure l’avallo dell’Nra.
Resta da vedere se Trump persisterà su queste posizioni, che possono alienargli il sostegno di parte dei suoi elettori. E c’è pure da chiedersi se il ritorno di fiamma delle armi non serva e fare passare in secondo piano le grane interne alla Casa Bianca, dove il capo della comunicazione, Hope Hicks, 29 anni, una delle poche superstiti della campagna presidenziale, lascerà presto l’incarico. La Hicks, una ex modella per taglie forti che non passava inosservata, è il terzo capo della comunicazione ‘bruciato’ in un anno, dopo Sean Spicer e la meteora estiva Anthony Scaramucci.
Paga, la Hicks, l’irritazione del presidente nei suoi confronti: chiamata dal Congresso a testimoniare sul Russiagate, Hope ha ammesso di avere mentito per non danneggiare Trump, che di conseguenza sarebbe “andato su tutte le furie” – lo riferisce la Cnn -. Ma contro la Hicks c’è pure l’onda lunga delle vicende #Metoo: lei era la partner di Robert Porter, il segretario dello staff della Casa Bianca dimessosi per le accuse di violenze sessuali nei confronti delle due ex mogli.
Il posto della Hicks potrebbe andare a un’altra donna, Mercedes Schlapp, 45 anni, origini cubane e un marito ‘pezzo grosso’ conservatore.
Un fastidio in più per Trump, dopo che il nulla osta di sicurezza di Jared Kushner, suo genero, consigliere per il Medio Oriente, è stato declassato, impedendogli l’accesso ai documenti ‘Top Secret’ dell’Amministrazione statunitense; e ora che i manager della sua campagna, Paul Manafort e Rick Gates, sono pronti a dichiararsi colpevoli nel Russiagate ed a collaborare, di fronte a capi d’imputazione che possono costare loro decenni di carcere.
Ieri, i Golden State Warriors, i campioni dell’Nba, in trasferta a Washington, hanno battuto i locali Wizards e visitato con una scolaresca il Museo afro-americano, dopo avere declinato l’invito alla Casa Bianca.