Lo Stato di New York porta alla sbarra la Weinstein Company e le trattative per cedere lo studio fondato da Harvey, il ‘molestatore in capo’, e dal fratello Robert saltano. Dopo avere radicalmente cambiato il clima dello show-bizz sulla Costa Ovest degli Stati Uniti, lo scandalo dei ricatti sessuali perpetrati dal produttore (e da molti suoi emuli) entra nelle aule di giustizia della Costa Est. E l’onda lunga di #metoo investe la Casa Bianca, complice un tweet incauto del presidente Trump.
Il procuratore generale dello Stato di New York Eric Schneiderman, un magistrato cui si prestano ambizioni politiche, ha messo in moto la macchina giudiziaria, accusando la società Weinstein di non avere tutelato i suoi dipendenti dalle molestie sessuali e dalle intimidazioni di ‘padron Harvey’ e ipotizzando un indennizzo delle vittime.
L’avvio di un’azione legale e la prospettiva d’ingenti esborsi fanno sfumare le trattative, la cui esistenza era stata rivelata dal WSJ, tra lo studio e un gruppo guidato da Maria Contreras-Sweet, una donna d’affari, ex capo della Small Business Administration con Barack Obama, che stava per chiudere l’affare a prezzi di saldo, 500 milioni di dollari. Ma le variabili giudiziarie e finanziarie sono troppe, per potere valutare gli sviluppi della situazione.
Schneiderman sostiene che “sfamare l’appetito sessuale di Harvey Weinstein era una condizione” per mantenere il posto di lavoro e condisce la denuncia di dettagli piccanti, come la presenza in organico di addette a procacciare al capo prede, a predisporlo all’atto ed a cancellarne poi le tracce. Il magistrato assicura che “né chi ha perpetrato né chi ha consentito” violenze sessuali “s’arricchirà ingiustamente”.
Negli ultimi quattro mesi – lo scandalo esplose a novembre -, Weinstein è stato accusato da decine di donne, dalle molestie allo stupro. Ma lui nega rapporti non consensuali. E, finora, non è stato formalmente incriminato in California, nonostante molte presunte vittime lo abbiano denunciato.
L’accusa formulata a New York è di violazioni dei diritti umani, dei diritti individuali e del diritto del lavoro: “la Weinstein Company ha ripetutamente violato la legge di New York non proteggendo i suoi dipendenti da molestie sessuali invasive, intimidazioni e discriminazioni”.
Questa volta, il presidente Trump poteva starsene al riparo dai colpi di coda di #metoo, che l’hanno già investito con le contrastate rivelazioni della pornostar Stormy Daniels, alias Stephanie Clifford, e che hanno scosso la Casa Bianca con le dimissioni di Rob Porter, molto vicino al capo dello staff John Kelly, marito violento di due ex consorti ed attuale compagno di Hope Hicks, giovane e giunonica responsabile delle comunicazioni.
Ieri, Trump ha presentato il piano per le infrastrutture: 1.500 miliardi d’investimenti nei trasporti e in altri settori nei prossimi dieci anni, di cui solo 100 miliardi, però, usciranno dalle casse federali, che serviranno – parole dal discorso sullo stato dell’Unione – “a costruire nuovi scintillanti ponti, strade, autostrade, ferrovie e canali attraverso tutto il nostro Paese”. Nel progetto di bilancio 2019, ci sono soldi per tornare sulla Luna, ma non ce ne sono per fronteggiare il cambiamento climatico.
Ma il presidente, forse preoccupato di sventare le dimissioni di Kelly, un ex generale che ha messo ordine alla Casa Bianca, ma che ora è accusato di avere sbagliato valutazione su Porter e di averlo forse coperto, è scivolato su un tweet. Lui che ha già difeso uomini accusati di violenza sulle donne ha lamentato che “una semplice accusa” può rovinare una reputazione.
Il tweet lo mette in guerra con #Metoo, il movimento nato dopo il caso Weinstein per combattere molestie e abusi sessuali sulle donne. Un movimento “puritano” e “anti-patriarcale” che – avverte Steve Bannon, lo stratega del candidato – può travolgere il presidente, “patriarca” per antonomasia. Soprattutto, nota Bannon, se la star tv Oprah Winfrey, divenuta un’icona dopo il vibrante discorso ai Golden Globe, scenderà in campo nelle elezioni di Midterm per fare vincere i democratici, aprendo la strada ad un impeachment.
Le considerazioni di Trump erano, per una volta, di per sé generiche e condivisibili. Ma sono subito state legate al caso Porter. Il presidente conferma a Kelly “piena fiducia” ed elogia il “buon lavoro” del funzionario dimissionario, cui augura “il meglio”.