Chissà se l’intreccio di riunioni in programma oggi a Roma – ministri della Difesa – e in Kuwait – ministri degli Esteri – ci aiuteranno a capire a che cosa serva ancora e quali siano gli obiettivi della Coalizione internazionale anti-Isis messa insieme dagli Stati Uniti per combattere il sedicente Stato islamico, ormai sconfitto in Siria e in Iraq.
Il capo del Pentagono James Mattis, da ieri a Roma, è partito con le idee chiare: “Il combattimento – ha detto, lasciando Washington – non è finito”. E, in effetti, gli avvenimenti degli ultimi giorni, che hanno visti bagliori di guerra accendersi di nuovo in Siria, testimoniano che tutti continuano, come prima, a combattere i loro veri nemici, senza però avere più il paravento di combattere l’Isis: la Coalizione attacca i lealisti di Assad, nel tentativo – tardivo – di contenere l’influenza nell’area di Russia e Iran e di proteggere gli interessi petroliferi occidentali; il regime attacca l’opposizione, con l’aiuto di Russia e Iran; e i turchi continuano ad attaccare i curdi, di cui la coalizione s’è già scordata, nonostante essi siano stati i maggiori artefici dei successi sul terreno sui miliziani jihadisti.
In questo contesto, il rischio di incidenti, voluti o fortuiti, è altissimo: ce n’è già stato più di uno nelle ultime 96 ore.
A Roma, Mattis porrà agli alleati anche la delicata questione della sorte dei foreign fighter catturati in Siria e in Iraq: gli Stati Uniti premono sugli alleati perché i miliziani siano processati nei Paesi d’origine. Un problema divenuto più urgente dopo la cattura di due britannici del famigerato gruppo dei ‘Beatles’, che torturava e decapitava ostaggi occidentali: gli Usa non li vogliono a Guantanamo, la Gran Bretagna non ha intenzione di rimpatriarli.
Le forze curdo-arabe della Coalizione sono alle prese con migliaia di jihadisti fatti prigionieri, tra cui centinaia di foreign fighter fatti prigionieri durante la presa di Raqqa.
Il capo del Pentagono non è sbarcato a Roma in versione conciliante. Ai giornalisti che viaggiavano con lui, ha detto che è troppo presto per capire se le aperture tra Nord e Sud durante i Giochi stiano creando un’opportunità di pace in Corea; e ha negato che un miglioramento benché temporaneo delle relazioni tra le due Coree possa essere un cuneo tra Seul e Washington. Per l’ex generale Mattis, che i suoi uomini chiamavano ‘cane pazzo’, i ramoscelli d’ulivo sciorinati dai nord-coreani ai Giochi si confondono con i missili balistici mostrati in parata nelle stesse ore.
A Roma, Mattis ha visto il ministro della Difesa Roberta Pinotti, per parlare dell’impegno comune nella lotta al terrorismo, di relazioni bilaterali, di programmi Nato e di cooperazione industriale. Quasi scontate le dichiarazioni pubbliche: Mattis, riferisce la Difesa, riconosce il “ruolo importante dell’Italia nei principali teatri di crisi e nella lotta al terrorismo” e dà atto all’Italia “d’avere indicato prima di altri l’Africa e il Mediterraneo come luogo di problematiche rischiose per l’Europa”, ragion per cui “la Nato ha avviato l’apertura di un hub per la sicurezza nel Mediterraneo”.
Con il suo programma 2018 di missioni militari all’estero, allargate al Niger e ad altri territori africani, l’Italia, rileva la Difesa, si conferma tra i principali contributori alla sicurezza internazionale – sotto l’egida delle Nazioni Unite o della Nato, oltre alle iniziative bilaterali o nell’ambito di coalizioni come quella anti-Isis -.