Da Davos al Campidoglio di Washington, dal World Economic Forum allo stato dell’Unione, Donald Trump, il presidente degli Stati Uniti più divisivo di tutti i tempi, indossa i panni dell’unificatore. Una metamorfosi nel tono e nei modi, meno urticanti del solito; ma la sostanza non cambia di molto, al di là degli appelli all’unità: vale il detto ‘l’abito non fa il monaco’.
Il discorso sullo stato dell’Unione è lungo – 80 minuti -, il più lungo finora pronunciato da Trump presidente, ma non riserva sorprese: l’eco dei successi –“il più grande taglio delle tasse della storia”, la creazione di 2,4 milioni di posti di lavoro, l’eliminazione d’un sacco di burocrazia e il fatto d’essere divenuti “esportatori d’energia”–; gli impegni a costruire “un’America sicura, forte, orgogliosa”, a renderla “di nuovo grande per tutti”, a “voltare pagina sugli accordi commerciali iniqui”; la mano tesa a lavorare in modo bipartisan e “ad accantonare le differenze e a cercare l’unità”; lo slogan “il nostro nuovo momento americano” forse inavvertitamente ripreso da Hillary.
Stato dell’Unione: l’ossessione di cancellare Obama e l’eco sui social
In politica estera, l’ossessione è di “rompere con le politiche del passato fallimentari” di Obama: Trump ammette che “molto resta da fare” contro il terrore integralista; è caustico con l’Iran; parla della Corea del Nord e della “natura depravata” del suo leader Kim Jong-un; tace sul Russiagate e sulle interferenze di Mosca sul voto; accenna a un “momento magico” per il disarmo atomico, che però non c’è; e rilancia il piano sull’immigrazione. Di fatto e concreto, c’è il decreto per mantenere aperta Guantanamo, la ‘prigione della vergogna’: “promessa mantenuta”, dice il presidente. L’orgoglio, per una volta, non è ben riposto.
E’ stato il discorso sullo stato dell’Unione più twittato di sempre; ed è stato il più cercato su Google di tutti i tempi, battendo il record stabilito nel 2010 da Obama. E’ proprio nei social l’eco maggiore dell’intervento che Trump ha fatto con accenti trionfalistici martedì sera, di fronte al Congresso riunito in sessione plenaria, con i repubblicani ad applaudire fragorosamente ogni passaggio e i democratici impassibili – numerosi gli assenti, in segno di dissenso -.
Joseph ‘Joe’ Kennedy III, deputato del Massachusetts, pronipote di JFK, cui i democratici affidano la replica, afferma che “i bulli possono sferrare un pugno e lasciare il segno”, ma non hanno mai avuto la meglio “sulla forza e lo spirito di un popolo unito”.
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