I posti di questo mondo pericolosi sono tanti e stanno magari dietro l’angolo. O dove neppure sai dove siano sulla carta geografica. Prendiamo il Niger, in mezzo al Sahel, l’Africa a sud del Sahara, quasi quattro volte l’Italia per dimensioni, appena 17 milioni di abitanti; eppure non c’è di che mangiare per tutti e molti ne scappano per migrare in Europa. Là, pochi giorni or sono le cronache riferivano di cinque soldati nigerini uccisi e “molti altri feriti”, in un attacco condotto da miliziani del gruppo terroristico Boko Haram nel sud-est del Paese, intorno al lago Ciad e vicino al confine con il Ciad.
Proprio là, in Niger, l’Italia ha deciso di inviare nel 2018 un contingente di 470 militari. Eppure – spiega Arturo Varvelli, analista dell’Ispi – “l’Italia non ha particolari interessi in Niger o nel Sahel, da sempre un’area assai più rilevante per la Francia”. E allora? “La missione militare in quel Paese ha degli obiettivi di più ampio respiro legati al ruolo dell’Italia nello scenario internazionale”.
Il contesto politico della decisione italiana
Cerchiamo di capire come abbiamo deciso di andare nel Niger e perché. E incominciamo dalla fine: l’ultimo voto della XVII legislatura della Camera repubblicana è stato pesante e potenzialmente gravido di conseguenze. Mercoledì 17 gennaio, deputati ormai ‘sciolti’, interessati più alle elezioni che ai lavori in aula, hanno autorizzato le missioni militari internazionali 2018 dell’Italia, tra cui quella in Niger. Si disegna una nuova geografia dell’impegno militare italiano all’estero, integrato in una strategia europea, ma studiato pure per venire incontro alle esigenze della Francia. A favore, la maggioranza di governo, FI e Fratelli d’Italia; astenuta la Lega; contro, specie per il Niger, M5S e Liberi e Uguali (e c’è chi parla di “nuovo colonialismo”).
Su Twitter, il premier Paolo Gentiloni scrive: “Via libera della Camera alle missioni internazionali. Da Afghanistan a Iraq, da Libano a Kossovo, da Libia a Niger forze armate e cooperazione italiana lavorano per pace, sviluppo e stabilità, contro terrorismo e traffico di esseri umani”. Da Strasburgo, il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani ‘benedice’ la scelta italiana “purché sia parte d’una strategia Ue”. Nelle dichiarazioni di voto in aula, chi approva le missioni insiste sul contrasto al traffico di persone a al terrorismo e sul controllo dei flussi migratori, nell’intento di “produrre sicurezza”.
L’ambasciatore Ferdinando Nelli Feroci, presidente dell’Istituto Affari Internazionali, fa risaltare, su AffarInternazionali.it, le palesi contraddizioni dell’atteggiamento politico italiano: “Colpisce e preoccupa l’apparente disinteresse degli esponenti dei partiti … sui temi che hanno a che vedere con la collocazione internazionale del Paese, con le alleanze più idonee a tutelare presunti interessi nazionali, con le risposte da dare alle sfide di un contesto internazionale instabile e minaccioso e con le grandi problematiche sulla scena internazionale (clima, terrorismo, non proliferazione, ecc.)”.
Nelli aggiunge: “Sorprende che non suscitino alcun interesse o preoccupazione da parte delle forze politiche impegnate nella campagna elettorale … questioni come la situazione nel Mediterraneo, con i conflitti ancora irrisolti in Siria e Libia; o la profonda frattura che traversa il contesto politico in Medio Oriente, con una tensione sempre più palpabile fra Iran e Arabia Saudita (e Israele); o i rischi che corre l’accordo sul nucleare iraniano dopo le prese di posizione recenti di Washington; o il programma di riarmo nucleare della Corea del Nord, con le relative implicazioni sulla sicurezza della regione”.
Lo sforzo militare internazionale italiano a 360 gradi
Eppure, il Parlamento dà via libera alle missioni militari italiane all’estero un po’ alla chetichella, e senza colpo ferire, componendo in mosaico in larga parte nuovo, che cerchiamo di ricomporre.
In Niger saranno inviati 470 militari- e 60 in Tunisia -, a dare supporto a “uno sforzo congiunto europeo e statunitense per la stabilizzazione dell’area”; Sarà potenziata l’attività di sorveglianza delle frontiere: verranno impiegati 130 mezzi terrestri e due mezzi aerei, con una spesa stimata 30 milioni di euro fino al 30 settembre. Gli uomini destinati al Niger saranno frutto della riduzione, circa un dimezzamento, del contingente in Iraq (finora, circa un migliaio di soldati).
In Libia, resteranno 400 militari per azioni a carattere umanitario e sanitario e di assistenza, addestramento delle forze di sicurezza libiche, supporto alla Guardia costiera libica, il tutto finalizzato al sostegno del Governo di Accordo nazionale libico del premier al Serraj, mentre rapporti di forza militari e alleanze politico-tribali sono in continua evoluzione in quel Paese.
Vi sono inoltre missioni nuove minori in Sahara occidentale e Repubblica Centrafricana. E vengono pure prorogate, con modifiche, le missioni in corso nel 2017, dall’Afghanistan all’Iraq, dal Libano al Balcani. Infine, 250 militari e otto aerei parteciperanno al potenziamento dell’Air Policing dell’Alleanza atlantica: l’operazione, coordinata dal Comando aereo di Ramstein in Germania, prevede la continua sorveglianza dello spazio aereo Nato.
La spesa totale per le missioni militari all’estero prevista per il 2018 è di 1.504 milioni di euro: quasi 80 milioni in più rispetto ai 1.427 milioni del 2017. I fondi stanziati basteranno fino al 30 settembre: poi, volendo mantenere le missioni, andranno integrati con ulteriori 491 milioni di euro. Globalmente, il piano 2018 prevede il dispiegamento all’estero di 5816 militari.
In un documento, il governo avverte: “La perdita della dimensione territoriale dell’autoproclamato Califfato non significa la fine della minaccia del sedicente Stato islamico, l’Isis, che si prevede possa evolvere in un’organizzazione terroristica e criminale di stampo più tradizionale. Occorrerà, quindi, dedicare un’attenzione sempre maggiore alle sfide della stabilizzazione dei territori liberati”.
L’Italia – prosegue il documento – ha “un rinnovato interesse alla fascia del Sahel, la cui importanza geostrategica risiede nella collocazione di ponte fra l’Africa subsahariana e l’Europa, anche nell’ottica di flussi migratori e di traffici illeciti a questi connessi”. In Africa subsahariana “permane una fascia di instabilità che attraversa il Continente, dalla Mauritania al Corno d’Africa”.
La Francia gendarme, l’Italia di spalla
A questa fascia, ha sempre prestato particolare attenzione la Francia, ex potenza coloniale regionale, con operazioni militari specie in Mali e in Niger. La Francia ha in Africa circa 4.000 militari, anche in Ciad, Burkina Faso e Mauritania.
Proprio in Niger, il presidente Emmanuel Macron ha voluto trascorrere la vigilia di Natale, insieme a centinaia di militari in azione contro gli jihadisti nel Sahel. Accolto a Niamey dal presidente Mahamadou Issoufou, Macron ha raggiunto la base di Barkhane, dove sono di stanza 500 uomini, caccia Mirage 2000, aerei da trasporto e droni.
Il Natale prossimo, potrebbe toccare al presidente Mattarella o al futuro presidente del Consiglio italiano passare la vigilia in Niger con la missione di addestramento delle forze anti-terrorismo congiunte del G5 Sahel – Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania, Niger -.
Smentita per mesi dal Ministero della Difesa, la missione ‘Deserto rosso’, o altro nome in codice, dunque si farà. Prima dell’estate, la Difesa negava “ipotesi operative al riguardo”: “Simulazione e pianificazione di azioni del genere rientrano nella normale attività addestrativa degli Stati Maggiori e riguardano le principali aree di crisi”.
Ma, a margine del Vertice del G5 Sahel di La Celle-Saint-Cloud, vicino a Parigi, Gentiloni faceva, il 13 dicembre, un annuncio un po’ sibillino: l’impegno italiano in Sahel “sarà collegato all’andamento di diverse campagne militari internazionali”, come quella in Iraq, dove ci sono “circa 1000 militari italiani” e dove “una parte di queste forze potrebbero non essere più indispensabili”.
Tra l’impegno preso con il presidente Macron – Francia e Italia avevano reciprocamente qualcosa da farsi perdonare – e il suo rispetto, c’era di mezzo un voto del Parlamento, che è puntualmente arrivato in extremis rispetto alla legislatura. Spiegando l’operazione in Niger, Gentiloni ne rileva “l’interesse specifico anche per quanto riguarda i flussi migratori dalla Libia” verso il Mediterraneo: un interesse riconosciuto dall’Unione europea, che ha da poco concluso un accordo con Niamey.
Il Niger, che il ministro degli Esteri Angelino Alfano considera “nostro alleato strategico in Africa”, non è un Paese tranquillo. Il 20 ottobre, almeno 13 militari nigerini sono rimasti uccisi in un attacco lanciato da un gruppo armato non identificato ad Ayorou, vicino al confine col Mali. Il 10 ottobre, cinque soldati statunitensi erano caduti nell’agguato d’un commando di jihadisti, sempre al confine con il Malì – negli Usa, ci furono polemiche perché pochi sapevano dell’impegno militare in Niger e perché emersero lacune nell’intelligence -. Il Niger è terreno d’azione di gruppi affiliati ad Qaida e di formazioni che si richiamano all’Isis – quest’ultime responsabili dell’attacco ai soldati Usa -.
Secondo Jean-Pierre Darnis, responsabile del programma di ricerca Sicurezza e Difesa dell’Istituto Affari Internazionali, la decisione d’impegnarsi nel Sahel conta “per la presenza dell’Italia al tavolo della riforma e del rilancio della politica europea di difesa e sicurezza”. Francia e Germania sono molto attive su quel fronte e l’Italia vuole stare nel nocciolo duro della riforma appena avviata lanciando una cooperazione rinforzata fra 25 Paesi Ue.
L’Italia, in Africa, aveva da tempo una posizione di forte divergenza strategica con la Francia: dall’intervento francese in Libia nel 2011 al mancato sostegno italiano all’azione francese in Mali nel 2013, c’era freddezza, se non ostilità, fra Parigi e Roma, sul fronte nord-africano-sahariano. Dopo l’attentato al Bataclan del 2015, Parigi aveva chiesto aiuto ai Paesi Ue per potere richiamare soldati dalle missioni in Africa e rinforzare il dispositivo anti-terrorismo sul territorio nazionale. L’Italia aveva risposto picche perché già impegnata in Iraq.
In estate, Macron aveva convocato i leader libici rivali Haftar e al-Serraj, suscitando l’irritazione dell’Italia, che si sentiva ‘titolare’ del dossier Libia. Per Darnis, “la missione in Niger” può saldare “l’interesse nazionale essenzialmente rivolto alla Libia” e “la visione francese, tedesca e americana di stabilizzazione dell’intera zona saheliana, legando lotta al terrorismo, stabilità delle frontiere, contrasto all’emigrazione clandestina e sviluppo locale”.