L’offensiva di primavera dei talebani in Afghanistan, una costante negli oltre 16 anni d’una guerra senza vincitori, ma con molti sconfitti, è cominciata con due mesi di anticipo: è di quasi cento morti ed oltre 150 feriti il bilancio, ancora in divenire, di un attacco nel cuore di Kabul, la capitale, rivendicato dagli insorti. Un kamikaze ha fatto saltare in aria un’ambulanza carica d’esplosivo. L’attentato, presso la vecchia sede del ministero dell’Interno, ha investito un ospedale e dei negozi intorno a Sedarat Square, vicino a Chicken Street – a circa 200 metri c’è la delegazione dell’Ue -.
Decine di feriti sono stati trasportati all’ospedale di Emergency. “E’ un massacro”, dice in un tweet Dejan Panic, coordinatore dell’organizzazione in Afghanistan. E’ il terzo pesante attacco in meno d’una settimana, dopo quello all’Hotel Intercontinental (una quarantina di vittime, molti stranieri, quattro americani) e quello di mercoledì nella sede di Save the Children a Jalalabad – fra i morti, quattro funzionari dell’Ong -. I talebani dell’Emirato islamico dell’Afghanistan hanno rivendicato le azioni a Kabul: l’ultima con un tweet del portavoce del movimento, Zabihullah Mujahid. L’Isis, rinforzato dalla diaspora dei miliziani da Iraq e Siria, quella a Jalalabad.
Questi sono gli episodi più gravi: il contorno è una miriade di attacchi dei talebani o dei miliziani, specie nelle province il cui controllo è conteso tra ‘lealisti’ e insorti. Ieri, un veicolo imbottito d’esplosivo è saltato in aria presso un check-point delle forze di sicurezza afghane nella provincia di Helmand, al Sud, ferendo quattro soldati e due agenti. L’attentatore è stato ucciso prima di investire il check-point.
L’aritmetica delle vittime degli attentati – almeno duecento, dall’inizio dell’anno – non è purtroppo l’unica. Le vittime afghane del conflitto sono oltre 140 mila, tra cui almeno 26 mila civili – la meta dei morti sarebbero talebani o presunti tali, un po’ più di un quarto combattenti ‘lealisti’ -. A questi, vanno sommati oltre 3.500 soldati Nato (53 gli italiani, con 650 feriti), almeno 1.700 contractors e oltre 300 cooperanti stranieri. In questo conflitto, terrorismo e insurrezione s’intersecano.
Una tv afghana, che cita fonti dell’Air Force degli Stati Uniti, afferma che l’aviazione Usa, insieme alla Coalizione internazionale in Afghanistan, ha lanciato, nel 2017, 4.300 bombe contro i gruppi anti-governativi; e i raid aerei sul territorio afghano sono stati quasi il doppio rispetto a quelli fatti nel biennio 2015/’16. Nel 2017, i velivoli americani e afghani hanno compiuto una media di 15 raid al giorno nel solo Afghanistan meridionale.
Poi ci sono i costi economici. Un rapporto di MilEx calcolava, in autunno, che la guerra afghana “è la più lunga e costosa campagna militare della storia italiana”. L’Italia vi ha speso l’1% di quanto hanno speso gli Stati Uniti.
Il conflitto in Afghanistan è costato 900 miliardi – quasi 30 mila dollari per ogni cittadino afghano, in un Paese in cui il reddito medio annuo pro capite è di circa 600 dollari -, 7,5 per l’Italia. Gli Usa dal 2001 a oggi hanno speso 827 miliardi di dollari (ora, circa 45 miliardi l’anno). Il rapporto si basa sui dati ufficiali, ma le cifre reali potrebbero risultare doppie secondo analisti universitari americani.
Per l’Italia, il costo ufficiale del coinvolgimento nelle missioni militari in Afghanistan (fino al 2006 Enduring Freedom, fino al 2014 Isaf e poi Resolute Support) è stato di 6,3 miliardi di euro, cioè oltre un milione di euro al giorno in media. Ci sono poi 360 milioni a sostegno delle forze armate afgane (120 milioni l’anno a partire dal 2015) e circa 900 milioni di spese militari aggiuntive varie. Si arriva così a oltre 7,5 miliardi, contro i 260 milioni investiti in iniziative di cooperazione civile.
E i risultati? L’Afghanistan 16 anni dopo non è un Paese stabile e non è una democrazia: il governo è composto da ‘signori della guerra’ del Nord ed è fragile e corrotto, l’analfabetismo è sceso appena dal 68% al 62%, la condizione femminile è lievemente migliorata nelle maggiori aree urbane, il tasso di mortalità infantile è il più elevato al mondo (su mille nati, 113 decessi entro il primo anno di vita ), l’aspettativa di vita tra le più basse (51 anni, peggio solo Ciad e Guinea Bissau ), il Paese resta fra i più poveri (207° su 230 per ricchezza pro-capite) e la sua economia resta largamente basata sull’oppio. Tutti quei soldi si potevano certamente spendere meglio.