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Davos: Trump il protezionista dai super-ricchi illusi e delusi

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 25/01/2018

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Pareva una Davos già votata al culto di Trump, il presidente della crescita – non che lui ne abbia meriti – e del taglio delle tasse più ai ricchi che ai poveri: roba che il Gotha della Finanza, riunito nel Tempio del Profitto, ci va in sollucchero. Ma il presidente americano fa una mossa anti-climax, imponendo dazi su prodotti cinesi e sud-coreani, e l’atmosfera subito cambia: qui, il protezionismo puzza di bruciato.

L’Europa è in prima linea contro l’ ‘America First’ di Donald Trump: “No ai protezionismi”, dicono all’unisono Merkel e Macron e pure Gentiloni. Ma gli Stati Uniti insistono: “Sono in arrivo altre misure”, fanno sapere, mentre il segretario al Tesoro Steven Mnuchin azzarda un “Noi siamo per la libertà degli scambi” contraddetto nei fatti e cui non crede nessuno.

L’euro che si rafforza sul dollaro – a 1,24, tocca il record da oltre tre anni, da fine 2014 – fa il gioco degli Usa sui mercati. Lo stesso Mnuchin ammette: “Il dollaro debole ci fa bene dal punto di vista commerciale”.

Non è chiaro se la mossa dei dazi sia stata, o meno, fatta in funzione del World Economic Forum. Trump impone sovrapprezzi del 30% sui pannelli solari e lavatrici cinesi e sudcoreani. La ‘guerra dei dazi’ suscita l’ira di Pechino, la grande avversaria, ma anche di Seul , una delle grandi alleate nell’Estremo Oriente, che ora minaccia il ricorso al Wto, il tribunale del commercio mondiale.

Tocca a Narendra Modi, il premier l’indiano, tenere alta a Davos la fiaccola del liberismo asiatico: Modi giudica la minaccia di conflitto commerciale “preoccupante”. L’anno scosso, il portabandiera del libero scambio era stato il presidente cinese Xi Jinping, in funzione anti-Trump preventiva.

Trump, che arriva oggi, è già ovunque, anche se nessuno lo cita. La cancelliera tedesca ammonisce: “Cent’anni dopo la Grande Guerra, dobbiamo chiederci se abbiamo imparato le lezioni della storia: a me sembra di no … L’unica risposta è la cooperazione e il multilateralismo”; e spezza una lancia per una maggiore integrazione europea. Il presidente francese veste i panni che s’è tagliato addosso, quelli dell’europeista: “Serve un’Europa più ambiziosa”.

Riproponendo la Francia e l’Ue come leader della lotta al cambiamento climatico, Macron ironizza sul tempo che fa a Davos, dove la neve non era così abbondante da decenni: “Potrebbe essere difficile credere nel global warming”. E aggiunge, con evidente ma implicito riferimento a Trump: “Fortuna che quest’anno non avete invitato chi è scettico a proposito del global warming!”.

Per l’Italia, il premier Gentiloni e il ministro dell’Economia Padoan sono a Davos a fare campagna ed a fugare lo spettro dell’instabilità dopo il voto: “Troveremo soluzioni flessibili”, assicura Gentiloni, che ha uno scambio di battute con la Merkel e cerca di stare sull’asse d’equilibrio tra Usa e Ue – “Le critiche a Trump sono giuste, ma l’Europa deve essere più protagonista” -.

Le ricette economiche di Davos sono sempre le stesse, liberismo e rigore. Christine Lagarde, presidente del Fondo monetario internazionale, che presenta nuove previsioni di crescita globale, è ottimista nel breve termine, ma vede rischi all’orizzonte legati al debito e ai bassi tassi.

Invece, le ricette politiche sono esposte al vento dei tempi: quest’anno, domina il rischio populista, che le storie elettorali a lieto fine di Francia e Germania stemperano, mentre il successo di Trump e le incognite italiane lo alimentano.

Adesso che a Washington il Congresso ha trovato un accordo per sventare lo ‘shutdown’, rimettere in moto l’Amministrazione e continuare a discutere sull’immigrazione fino all’8 febbraio, Trump può partire a cuor leggero: oggi, a Davos, vedrà il premier israeliano Benjamin Netanyahu e avrà una cena con gli amministratori delegati di alcune società europee per invitarli a investire negli Usa.

gp
gphttps://giampierogramaglia.eu
Giampiero Gramaglia, nato a Saluzzo (Cn) nel 1950, è un noto giornalista italiano. Svolge questa professione dal 1972, ha lavorato all'ANSA per ben trent'anni e attualmente continua a scrivere articoli per diverse testate giornalistiche. Puoi rimanere connesso con Giampiero Gramaglia su Twitter

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