Primi segni di dialogo tra Facebook e l’Europa sulla spinosa questione della web tax; il colosso de social infatti ha fatto sapere di essere pronto a pagare.
La nuova imposta dovrebbe ridisegnare i rapporti tra il Vecchio Continente e le prime cinque imprese digitali per capitalizzazione (Amazon, Google, Apple, Microsoft e Facebook). Queste realizzano il 60% delle vendite e dei profitti fuori dagli Stati Uniti, in Europa per l’appunto, lasciandovi solo il 10% delle tasse pagate.
Si pensa quindi di passare da una tassazione basata sull’utile (molto difficile da calcolare e da attribuire ad un luogo preciso vista la natura di internet) ad una calcolata in base al fatturato. Altro obbiettivo è il prevenire sistemi come quello chiamato “doppio irlandese” (https://www.panorama.it/economia/tech-social/google-risparmia-tasse-irlanda/) che consente di aggirare legalmente l’imposta.
Per combattere questo fenomeno è necessaria un’azione congiunta. Questo il senso del comunicato firmato dai ministri delle finanze delle quattro principali economie europee (Le Maire, Padoan, de Guindos e Schaeuble).
Ma come funziona la web tax? La web tax prevede che superata una determinata soglia di guadagno che si aggira intorno agli 1,5 milioni di euro (in 6 mesi) e raggiunto un determinato numero di transazioni (1500, sempre nell’arco di 6 mesi) l’azienda in questione debba versare il 6% del ricavato.
Facebook, anticipando il fisco, ha fatto sapere di essere pronto contabilizzare i ricavi pubblicitari non più nella sede internazionale a Dublino, ma nelle varie succursali disseminate per il continente. Per ora gli altri grandi della rete rimangono silenti. Sicuramente i loro legali sono già alla ricerca di un metodo legale per evadere la nuova tassa.
Come sappiano tutti, fatta la legge trovato l’inganno.
Per rendere attuabile è necessario muoversi di comune accordo con il resto dell’Europa: tassare ciò che attraversa i confini è possibile solo per un’istituzione che supera i confini nazionali. Una tassa sul digitale ha infatti davvero senso solo facendo fronte comune. L’Europa ha i mezzi per convincere i colossi di Internet a pagare, usando il potere che le fornisce la possibilità tecnica di limitare loro l’accesso al mercato più ricco del mondo.
Nonostante il beneficio rappresentato dall’ingresso nelle casse dei vari stati di miliardi di euro finora persi, l’introduzione della web tax potrebbe portare con sé anche svantaggi, quale il già ipotizzato rischio che l’onere ricada sul consumatore tramite un aumento dei costi dei servizi.
Per quanto sia quindi un segnale positivo il dialogo internazionale e il tentativo europeo di colmare questo vuoto legislativo, è più che mai auspicabile una voglia di soluzione al problema che sia non solo europea bensì globale. Speriamo che il 2018 porti almeno il sentore d’un dialogo in questo senso nell’interesse dei paesi ma più ancora degli utenti e dei consumatori, ma anche che altri colossi di internet seguano l’esempio di Facebook.