E’ un anno che quei due fanno a chi la spara più grossa: impulsivi e suscettibili, di botta in risposta si provocano e si ‘gasano’ l’un l’altro. E ora, come due ragazzoni, fanno ‘a chi c’è l’ha più grosso’, beninteso il pulsante nucleare, e più efficiente. Nella competizione verbale con Kim Jong-un, Donald Trump s’è preso una lunghezza di vantaggio: a Capodanno, il dittatore nord-coreano aveva dichiarato di avere “il pulsante nucleare sempre sulla sua scrivania”; l’altra notte, il presidente Usa ha twittato: “Qualcuno di questo regime esaurito e alla fame lo informi, per favore, che anch’io ho il pulsante nucleare, ma il mio e’ molto più grosso e più potente del suo, e il mio funziona”.
La sortita di Trump ha persino scandalizzato la Cina, il cui ‘puritanesimo di regime’ fa concorrenza a quello americano: Pechino invita i protagonisti della disfida, fortunatamente per ora solo verbale, “a mostrare misura” e a dire cose utili “ad alleviare la tensione”, invece che a rilanciare l’escalation. La Cina si ritrova a recitare la parte del saggio, pochi giorni dopo essere stata rimbrottata da Trump perché foraggerebbe di petrolio la Corea del Nord violando le sanzioni dell’Onu.
E mentre i due litiganti pensano alla prossima battuta, la ‘tregua dei Giochi’ tra le due Coree fa passi avanti: Pyongyang accetta l’offerta di Seul di discutere la sua partecipazione alle prossime Olimpiadi invernali di PyeongChang – dal 9 al 25 febbraio, ad appena una sessantina di chilometri dal confine lungo il 45° parallelo -. Kim ha apprezzato il sostegno dato dal presidente sudcoreano Moon Jae-in alla sua apertura e ha disposto il ripristino immediato del canale di comunicazione diretto tra i due Paesi. Un processo cui Trump non s’oppone e di cui, anzi, s’arroga il merito.
La comicità, a tratti grottesca, ma sempre inquietante, del duo Trump&Kim ha vissuto fasi alterne, innescata in genere da qualche provocazione militare nord-coreana. Pyongyang, in un anno, ha fatto esplodere due atomiche sotterranee e ha lanciato decine di missili di gittata e precisione crescenti, dando concretezza alla minaccia di un conflitto da Olocausto nucleare. Washington, con Tokyo e Seul, ha risposto rafforzando i dispositivi di difesa e organizzando manovre militari tutt’intorno alla Corea del Nord; e, all’Onu, con l’inasprimento delle sanzioni economiche e diplomatiche.
Tra la primavera e l’estate c’è stato tutto un ping-pong di frasi tra l’avvertimento e la minaccia. E poi di nuovo tra l’autunno e l’inverno. L’apertura è soft, con il ”pronti al dialogo” di Kim a Trump il 13 maggio. Ma il giorno dopo Kim spara un missile: “E’ paranoico”, commenta Trump. A luglio, Kim minaccia “un attacco nucleare”; Trump “E’ vergognoso che si comporti così”. Ad agosto, Kim trova gli Usa “disgustosi”; Trump non esclude “una guerra preventiva”; Kim avverte “La pagherete cara”: Trump sbotta “Fuoco e furia se provocati … Duri e decisi!”.
I due litiganti la mettono pure sul personale. Trump lamenta: “Perché Kim mi chiama vecchio? – e la propaganda nordcoreana arriva a definirlo ‘vegliardo rimbambito’ – … Io non lo chiamo basso e grasso” (ma poi conia per Kim il nomignolo di ‘rocket-man’). Ancora Trump: “Io cerco di essere suo amico, forse un giorno succederà!”; “In fondo, è un bravo ragazzo che gestisce la sua eredità”; abbandoni il progetto nucleare, negozi e garantisca “un futuro luminoso al suo popolo che ora vive in un inferno”.
Per ora, Kim negozia con Moon. E Trump, oltre che dai nemici, deve guardarsi dagli (ex) amici: Steve Bannon, suo ex consigliere, giudica “sovversivi” gli incontri del figlio del presidente con emissari sovietici. “Ha perso la ragione”, commenta Trump. Il Russiagate, per lui, è una minaccia più reale di ‘Rocket-man’.