Questa storia dei Giochi olimpici che nell’antichità imponevano una tregua ad ogni guerra è sempre parsa una favola bella; e, in effetti, lo era. Ma, a darle una parvenza di realtà, ai giorni nostri, potrebbe essere il ‘cattivo dei cattivi’ delle cronache moderne: Kim Jong-un, dittatore nord-coreano, tende un ramoscello d’olivo; e Moon Jae-in, presidente sud-coreano, lo raccoglie. Ci saranno atleti del Nord alle Olimpiadi d’Inverno di Pyeongchang, nel Sud, dal 9 al 25 febbraio? E’ prematuro dirlo, ma, dal 9 gennaio, i coreani del Nord e del Sud ne discuteranno in dettaglio, a Panmunjon, località sul confine demilitarizzato – in realtà, uno dei più presidiati al Mondo – che taglia la penisola lungo il 45° parallelo.
Nessuno è contro. Donald Trump, il presidente Usa, ‘arci-nemico’ di Kim, evita di mettere i bastoni tra le ruote. Anzi, con un tweet, si assume i meriti: “Le sanzioni e le pressioni stanno sortendo i loro primi effetti … Per la prima volta, Rocket Man – così Trump chiama Kim, ndr – accetta di parlare con il Sud”. Non è proprio vero: in passato, i coreani hanno persino partecipato ai giochi sotto una sola bandiera. Ma non è il caso di fare i sofisti con Trump.
La Corea 2016 come la Grecia antica? La tradizione vuole che la tregua olimpica vigesse in tutta l’Ellade per chiunque partecipasse ai Giochi, atleta o spettatore: cessavano tutte le inimicizie pubbliche e private; e nessuno che dovesse attraversare territori ostili per recarsi a Olimpia poteva essere molestato. Nei fatti, però, le limitazioni erano molte: la tregua riguardava solo gli Elleni e, più che a sospendere le ostilità, serviva a garantire lo svolgimento dei Giochi. Che, in un caso almeno, furono a loro volta causa di conflitto, per chi doveva organizzarli e gestirli.
Nei tempi moderni, è stato piuttosto il contrario. Le guerre, invece di essere ‘congelate’ dai Giochi, li hanno fatto saltare: accadde nel 1916 e ancora nel 1940, quando a Roma era già stato costruito lo Stadio Olimpico, e nel 1944. Dopo il secondo conflitto mondiale, Corea, Vietnam, fino alla guerra al terrorismo tra Afghanistan e Iraq non hanno più impedito i Giochi, ma non si sono certo fermate in loro onore.
Per tutta una stagione, le Olimpiadi sono state occasione di manifestazioni d’ostilità, anche tragiche: dopo il guanto nero anti-razzismo di Tommie Smith e John Carlos sul podio dei 200 piani a Città del Messico 1968, ci fu il massacro – firmato Settembre Nero – negli alloggi degli atleti israeliani al Villaggio Olimpico di Monaco di Baviera 1972; e poi i boicottaggi degli africani a Montreal 1976, degli Occidentali a Mosca 1980 – causa invasione dell’Afghanistan -, dei sovietici e dei loro sodali per ritorsione a Los Angeles 1984. E più di recente la bomba ad Atlanta 1996 e le guerre al doping, ma anche del doping, con le esclusioni dei russi da Rio de Janeiro e adesso da Pyeongchang.
Appassionato di sport, anche se non necessariamente invernali, grande tifoso del basket Nba, Kim usa, probabilmente, l’esca olimpica per attirare Moon e allontanarlo da Trump. Ma Moon è di per sé un fautore del dialogo tra le due Coree e patisce la tensione esasperata dalla contrapposizione Kim / Trump. Così, il presidente del Sud coglie la palla al balzo: invita i suoi ministri dell’Unificazione e dello Sport “a dare rapidamente seguito a misure per riavviare un dialogo Nord-Sud” sulla presenza ai Giochi di una delegazione nordcoreana. Ma aggiunge che il “miglioramento dei rapporti non può essere separato” dal nodo nucleare.
Nel suo discorso di Capodanno, Kim aveva detto: “Siamo pronti a fare diversi passi, incluso l’invio di una delegazione ai Giochi invernali. A tal fine, le due Coree dovrebbero incontrarsi subito”. Si profila, come auspicano Kim e Moon, un anno “importante” per l’unificazione della penisola? Calma: la tregua olimpica non è ancora certa, tutto può ancora saltare. Ma, intanto, il Nord s’allena: sui pattini di velocità, non saranno bravi come i campioni del Sud; però, al Festival del Ghiaccio esibiscono una replica del loro missile a lungo raggio Hwasong-15 da medaglia d’oro.