Pensate come vi sentite quando qualcuno commenta in modo acido un vostro post su Facebook o replica in modo aggressivo a un vostro tweet: siete arrabbiati, perché ‘quello là come si permette’; e pure demoralizzati, perché, magari, ‘non sono stato chiaro’. E pensate adesso come vi sentireste se la critica sgarbata vi venisse da un ‘addicted’ di Twitter che ha 45 milioni di followers: sulle prime euforici, perché avreste un’impennata delle notifiche; poi sommersi da un cumulo d’insulti beceri e/o solidarietà pelose (a nessuno gli importa nulla di voi: chi vi difende vuole attaccare il ‘mogul’).
Politico, il sito che detta oggi la cadenza dell’informazione politica negli Stati Uniti, s’è chiesto che ne è stato di cinque bersagli dei tweet virulenti del ‘twittatore in capo’ dell’Unione Donald Trump, uno i cui cinguettii sono talora ruggiti e talora latrati e che su di essi ha costruito la comunicazione della campagna e della presidenza: bulimico ed efficace, fin quando il limite è stato di 140 caratteri; meno graffiante e più verboso, quando la misura è raddoppiata.
Sui social, @realDonaldTrump dà la baia a @Pontifex, che, nelle sue varie versioni linguistiche, latino compreso, gli sta dietro di pochi milioni di followers. E non fa sconti a nessuno, alleati e avversari, amici e nemici. In campagna, aveva gioco facile con Hillary Clinton, che non ha fluidità nei tweet, e con i rivali per la nomination repubblicana. Dalla Casa Bianca, ha ingaggiato duelli senza quartiere con il nord-coreano Kim, che lo sfida in tracotanza, ma anche con Theresa May, premier britannica un po’ sconcertata dalla brutale rozzezza dell’ ‘amico’ yankee; e ha bersagliato un sacco di repubblicani riottosi alla sua linea – i senatori John McCain e Mitch McConnell sono passati dalla polvere agli altari – e di funzionari poco flessibili – adesso ce l’ha con il numero due dell’Fbi Andrew McCabe, dopo avere ‘massacrato’ il suo ex capo James Comey -.
Ma quella è tutta gente avvezza ai giochi della politica e del potere. Nel cast di Politico, ci sono l’ex capo dello staff della Casa Bianca di Bill Clinton e della campagna di Hillary John Podesta, capace di tenere botta al presidente in uno scambio di tweet su Russiagate e dintorni, e la senatrice junior dello Stato di New York Kirsten Gillibrand, che cercò di trovare conforto nello studio della Bibbia.
C’è chi, invece, s’è lasciato sorprendere, e talora travolgere, dai tweet di Trump. Politico racconta della giornalista Mika Brzezinski, figlia di Zbigniew, che fu consigliere per la sicurezza nazionale di Jimmy Carter: conduttrice televisiva ben accetta al presidente, insieme al suo partner sul lavoro e nella vita Joe Scarborough, finì di colpo sulla lista dei ‘cattivi’ e si beccò tweet rancorosi, che ebbero l’effetto di deprimerla personalmente, ma di esaltare l’audience del suo programma.
Lei, punta sul personale di un lift facciale mal riuscito, replicò con un riferimento alle ‘mani piccole’ (un dato fisico che Trump mal accetta).
E’ andata peggio a Kathy Griffin, attrice, che, per pubblicizzare un lavoro teatrale con Perseo che brandisce la testa della Medusa, si fece fotografare brandendo una maschera di Trump sanguinolenta: trovata certo discutibile, quanto a buon gusto, ma che, di tweet in tweet dei Trump e dei loro sodali, è costata a Kathy il lavoro che aveva e ogni ulteriore scrittura: “La gente adesso pensa che io faccia parte dell’Isis”, il sedicente Stato islamico.
Nessuno lo pensa di Alan Dershowitz, principe del foro ebreo e già icona liberal, docente di legge ad Harvard, che s’è guadagnato inattesi tweet elogiativi del presidente con i suoi interventi giuridici sul Russiagate. Il suo mondo gli è crollato addosso: “I miei amici non m’invitano più a cena. E sono d’imbarazzo alla famiglia”. Senza nulla in cambio: “La Corte Suprema? A 79 anni, sono troppo vecchio per pensarci” . Nel suo studio, potrà sempre affiggere, accanto ai suoi attestati accademici, una riproduzione dei tweet di Trump.