Prima minacciate, poi ‘promesse’, le ritorsioni degli Usa allo schiaffo dell’ Onu non si fanno attendere: Washington decide di tagliare di 285 milioni di dollari il proprio contributo al bilancio delle Nazioni Unite per il biennio 2018/’19. E Nikki Haley, la rappresentante di Trump al Palazzo di Vetro, afferma: ”Non consentiremo più che ci si approfitti della generosità americana”.
Venerdì, l’Assemblea generale dell’ Onu s’era espressa a larghissima maggioranza (128 sì, appena 9 no) contro il trasferimento dell’ambasciata degli Usa in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme e, quindi, contro il riconoscimento di fatto di Gerusalemme come capitale di Israele.
La doppia decisione del presidente Trump – il trasferimento dell’ambasciata e il taglio dei fondi – mettono a nudo una doppia debolezza. La prima è quella dell’Amministrazione statunitense, che è più isolata che mai e che non recupererà certo consensi mettendo in pratica il ricatto ‘se mi voti contro ti riduco gli aiuti’.
La seconda è quella delle Nazioni Unite, la cui inefficienza sconfina nell’irrilevanza, se si pensa solo alla quantità di risoluzioni sul Medio Oriente rimaste inattuate senza conseguenza alcuna. Né migliorano la percezione gli sviluppi delle ultime ore, con la levata di scudi della Corea del Nord contro le nuove sanzioni impostele per le sue scelte nucleari: Pyongyang giudica le misure “un atto di guerra” ed avverte “Gli Usa non si illudano che noi rinunciamo al nucleare”; e Seul s’attende altri test missilistici a breve.
L’isolamento di Washington è acuito da Papa Francesco, che sollecita, a Natale, per la Terra Santa la soluzione dei due Stati ciascuno sicuro all’interno di confini concordati: una soluzione che presuppone un accordo su Gerusalemme. E non basta, ad attenuarlo, la decisione del Guatemala di trasferire anch’esso la propria ambasciata in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme, divenendo così il primo – e finora unico – Paese a seguire l’esempio di Trump.
L’annuncio per il Guatemala è stato fatto su Facebook dal presidente Jimmy Morales, che ha preso la decisione dopo un colloquio con il premier israeliano Benyamin Netanyahu. Il Guatemala è uno dei 9 Paesi che hanno votato con gli Usa all’Onu: a parte Usa e Israele, gli altri sono stati Honduras, Togo, Micronesia, Narau, Palau e Isole Marshall. Insieme fanno 27 milioni di abitanti e un Pil di 75 miliardi di dollari l’anno: un peso demografico, economico e diplomatico insignificante.
Il taglio del contributo Usa al bilancio Onu è stato così argomentato dalla Haley, che ha negoziato l’intesa con l’organizzazione internazionale: “L’inefficienza e la spesa eccessiva” dell’ Onu sono “note”; e gli usa continueranno “a cercare come aumentare l’efficacia dell’Onu e al tempo stesso proteggere i propri interessi”. Un’affermazione che lascia aperta la porta a ulteriori riduzioni, sotto varia forma, dei contributi americani.
Chiaro che gli Usa di Trump, che hanno già recentemente lasciato l’Unesco, l’agenzia per la cultura, intendono fare valere all’ Onu la loro forza finanziaria in modo che le loro priorità e le loro richieste siano rispettate.
Gli Stati Uniti restano tuttavia il principale contribuente delle Nazioni Unite: nel biennio 2016/’17, hanno coperto il 22% del bilancio operativo Onu, versando 1,2 miliardi su un totale di 5,4 miliardi di dollari. Gli Usa sono inoltre il Paese che maggiormente contribuisce, in termini finanziari, alle operazioni di peacekeeping dell’ Onu: nel 2017/’18, verseranno il 28,5% dei 6,8 miliardi di dollari stanziati.