Se c’è un bene che vale, e molto, e che vale sempre di più, nella nostra società, è l’ informazione. E se c’è un bene per cui la grande maggioranza delle persone non spende – e non è disposta a spendere – un euro, è l’ informazione: i giornali li compra sempre meno gente; gli abbonamenti alle edizioni online vengono aggirati con gli aggregatori di notizie; e il canone della televisione, perché lo pagassimo, c’è stato bisogno d’infilarlo nelle bollette della luce.
Eppure, fare informazione costa. E fare buona informazione, originale, di qualità, certificata, costa molto. Se non le riconosciamo un valore, se ci prendiamo quella gratis, non illudiamoci che sia migliore o più libera: c’è chi paga per darcela, perseguendo – ovviamente – i suoi interessi e selezionando, in funzione di essi, temi e priorità.
Fra le voci di costo principali della buona informazione, c’è la formazione di buoni giornalisti (e una loro equa retribuzione, una volta formati e immessi nel sistema produttivo). L’Istituto per la formazione al giornalismo (Ifg) di Urbino e la sua scuola cercano dal 1980 di formare e instradare verso la professione bravi giornalisti, che abbiano gli strumenti giusti per cercare, acquisire, capire e ‘gerarchizzare’ le notizie e per trasmetterle al pubblico nel modo più corretto e più incisivo.
Nel 2018, cercheremo di continuare a farlo, testando e sciorinando i progressi dei nostri praticanti su Il Ducato, che, cartaceo e online, video e audio, è la loro palestra. Spesso chi pensa che l’informazione debba essere gratuita pensa pure che i giornalisti siano obsoleti: un retaggio del passato, adesso che “siamo tutti giornalisti” (i ‘citizens journalists’) e ci facciamo ciascuno il nostro menu informativo quotidiano sui ‘social media’.
Certo, il problema non è più la disponibilità dell’informazione: ce n’è un sacco, più di quanta possiamo gestire nel tempo che le dedichiamo. Il problema è la possibilità d’orientarsi nel mare senza riferimenti dell’informazione disponibile: il buon giornalista cerca e dà la notizia che serve tenendo la barra sulla stella polare della affidabilità, della completezza, della tempestività. Dare ‘fake news’ non è il nostro mestiere; individuarle e metterle a nudo, sì.
La qualità dell’informazione non sarà mai obsoleta. E i giornalisti che s’impegnano per garantirla neppure. Che il 2018 sia un anno di notizie ‘buone’, anche quando non saranno buone notizie.