500 giorni, più o meno, sono passati dal referendum con cui i cittadini britannici decisero di lasciare l’Ue, scegliendo la Brexit. E 500 giorni, più o meno, mancano al giorno in cui la Brexit sarà legge in Gran Bretagna: il 29 marzo 2019, data fissata dal governo di Theresa May, che rischia di risultare uno dei premier più sprovveduti nella storia del Regno Unito – dopo l’autogol delle elezioni, ora pure la data della Brexit fissata a capocchia -.
Siamo, dunque, a metà strada. Ma, in realtà, i negoziati tra i 27 e la May non sono affatto a metà strada: il tempo da dimezzato, ma il percorso è ancora tutto da fare (o quasi). Finora, le trattative non hanno prodotto punti fermi su nessuno dei primi punti chiave affrontati: la cifra che Londra deve ancora versare a Bruxelles, nel rispetto di impegni già presi; lo statuto dei cittadini dei Paesi dell’Ue in Gran Bretagna (e viceversa); la situazione alla frontiera tra l’Ulster e l’Eire, l’unica frontiera terrestre tra il Regno Unito e l’Ue.
C’era attesa per l’incontro di ieri, a Bruxelles, tra la May e il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker. E, sulle prime, i riscontri sono parsi positivi, anche se nessuno poteva illudersi che un colloquio bastasse a sbloccare la situazione, dopo mesi di negoziati nel frullatore. I tempi, però, stringono: la verifica del Vertice europeo di metà dicembre è vicina.
Ma, poi, è arrivata la doccia fredda, perché la May s’è accorta che, se l’Ulster otteneva una sorta ‘d’eccezione europea’, come se la frontiera con l’Eire non esistesse per le merci e le persone, analoghe richieste le sarebbero venute da Scozia e Galles, mentre Londra, contraria alla Brexit, chiede uno statuto speciale. E i suoi alleati di governo nord-irlandesi del Dup sono stati rigidissimi: niente mercato unico con l’Eire o salta la maggioranza.
In serata, il premier irlandese Leo Varadkar ha espresso “sorpresa” e “disappunto”, perché la May non può garantire l’intesa concordata la mattina sulla frontiera tre l’Eire e l’Ulster, che prevedeva l’assenza di fatto di controlli – cioè lo ‘statu quo’ rispetto a oggi -. Andando incontro alle priorità degli irlandesi, l’accordo sbloccava le trattative, al cui prosieguo Dublino potrebbe ora opporsi.
Juncker si dice “pronto a riprendere i negoziati con il Regno Unito nel corso della settimana”. E Donald Tusk, il presidente del Vertice europeo, pensa che un’intesa di qui al 15 dicembre sia “ancora possibile”.
Per Juncker, ci sono “due o tre questioni aperte” – i soldi, le persone, il confine – che richiedono “ulteriori consultazioni e ulteriori negoziati”. Il presidente dell’Esecutivo evita di mettere alle corde la May e dice: “Questo non è un fallimento, ma è l’inizio dell’ultimissimo round” della prima fase delle trattative; e le divergenze si stanno “riducendo”.
La Gran Bretagna è in fibrillazione, mentre la vita nell’Ue scorre come se nulla fosse con l’elezione del ministro delle Finanze portoghese Mario Centeno alla presidenza dell’Eurogruppo: da gennaio, prenderà il posto dell’olandese Jeroen Dijsselbloem.