Non è un affare per l’Europa, una Germania più debole, paralizzata da una crisi di governo senza sbocchi, impaurita dallo spettro dell’instabilità politica cui non è abituata. E non c’è di che fregarsi le mani dalla soddisfazione, nella serie ‘mal comune mezzo gaudio’, perché anche Angela Merkel deve sperimentare ‘come sa di sale’ negoziare posti e programmi: le difficoltà della Merkel sono endogene alla Germania, non sono il risultato di mosse concertate dei suoi partner continentali. E chi cercasse di profittarne ora potrebbe poi trovarsi a mal partito dopo.
Che a Berlino non ci sia un governo di legislatura bell’e fatto non significa che l’Unione è di colpo diventata un Paese di Bengodi, dove ciascuno fa quello che vuole, dove il culto del rigore è abiurato e dove il rispetto delle regole diventa un optional. Se la Germania è distratta, a tenere la barra dritta ci pensano la Commissione europea e una manciata di Paesi da sempre ‘filo-tedeschi’.
“Una Merkel traballante in Germania significa un’Europa più debole” avverte il Financial Times, che di Unione ci capisce. Mentre Le Monde esplora i meandri della crisi politica tedesca “più grave del previsto”. Come prima conseguenza, l’Ue diventa un posto dove nessuno decide nulla, perché nessuno, senza la Germania, osa o ha la forza di farlo.
Anche la doppia estrazione a sorte di lunedì, costata a Milano l’Agenzia del farmaco europea – andata ad Amsterdam -, è in qualche misura una conseguenza dell’impasse tedesca: la Germania e la Merkel non sono in grado d’orientare le decisioni (e vi prestano meno attenzione). E l’esclusione, arrivata molto presto, di Francoforte dalla corsa all’Autorità bancaria europea, poi finita a Parigi, è solo segno che qualcuno s’è tolto dei sassolini dalle scarpe.
La prospettiva di nuove elezioni tedesche è seguita con molta attenzione a Bruxelles: il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker ha parlato lunedì con la cancelliera Merkel e fa sapere che l’Esecutivo Ue “non andrà in pausa e continuerà a portare avanti le sue proposte”, nell’attesa che a Berlino si opti per una ripresa dei negoziati a tre – cristiano-sociali, liberali e verdi –, o per un tentativo di riesumare la Grande Coalizione tra cristiano-sociali e socialdemocratici, o per il ritorno alle urne. La stampa tedesca non nasconde che la situazione può preludere al tramonto della Merkel, anche se i deputati cristiano-sociali salutano “con applausi tonanti” l’ipotesi d’una sua ennesima candidatura alla cancelleria in caso di nuove elezioni.
L’eclissi della Merkel lascia spazio ad Emmanuel Macron, che è in questo momento l’unico leader d’un grande Paese Ue con una prospettiva di governo a medio termine. Il presidente francese, però, non tenterà fughe in avanti: il voto di lunedì sull’Eba è stato un monito anche per lui, perché, sbarazzatasi di Francoforte, Parigi non ha vinto a mani basse, ma solo al sorteggio.
L’Italia in costante campagna elettorale, la Spagna con la questione catalana e la Gran Bretagna che s’impantana nei negoziati sulla Brexit – Theresa May scontenta i suoi deputati e i suoi interlocutori – non sono in condizioni di trarre vantaggio dalla panne tedesca. Dire, come fa Renzi, che Macron è ora il leader più importante nell’Ue è un’ovvietà; dire che è il momento che l’Italia alzi la voce è un’enormità, perché alzare la voce non serve a diventare credibili né autorevoli. Serve piuttosto acquisire credibilità e affidabilità, mostrare coerenza tra quel che si dice e quel che si fa.
Le difficoltà tedesche e le riserve dei Paesi dell’Est e dell’Austria rallentano i processi decisionali sulla politica migratoria e sulla riforma del Trattato di Dublino sui richiedenti asilo e condizionano progressi concreti verso la difesa europea – il Vertice europeo di metà dicembre avallerà l’avvio d’una Cooperazione permanente strutturata (Pesco) a 23 nel settore. In un contesto di fibrillazione di nuovo pre-elettorale la posizione di Berlino e della Merkel non sarà più accomodante, ma anzi più rigida, su tutti i fronti che interessano l’opinione pubblica tedesca, le regole e l’immigrazione.
Dovesse persistere, anche dopo nuove elezioni, la debolezza tedesca potrebbe divenire una zavorra nei negoziati sull’avvicendamento alla presidenza della Bce – ma Draghi scade a novembre 2019 -: la Germania è l’unico grande Paese dell’euro a non avere ancora avuto il posto e potrebbe brigare per ottenerlo.