La partita a tre si gioca da oggi in Vietnam, dove Trump, Xi e Putin, i ‘Signori del Mondo’, almeno di quello che s’affaccia sul Pacifico, si ritrovano per il vertice dell’Apec: i presidenti americano, cinese e russo avranno tutta una serie di riunioni plenarie e incontri bilaterali. Per Donald Trump, è il ‘gran finale’ d’una missione asiatica concepita tutta in crescendo: prima, il conforto degli alleati, Giappone e Sud Corea, senza neanche l’emozione – causa maltempo – di scrutare la frontiera più militarizzata al mondo, quella tra le due Coree; poi, Pechino e il gioco cinese degli inchini, figurati certo, ma inusuali per i modi spicci del magnate presidente. Che, vanesio com’è, ha molto gradito l’accoglienza “imperiale” che gli è stata riservata e che la stampa americana ha sottolineato.
I media hanno anche notato il cambio di tono, se non di passo, di Trump l’Asiatico. E s’interrogano se la versione ‘educata’ del magnate presidente sarà pure protagonista dell’incontro con Putin, i cui dettagli sono stati definiti nelle ultime ore. Il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, dice ovvietà: “Non c’è un’agenda concordata, ma sarà una buona opportunità per scambiarsi opinioni sui temi più importanti bilaterali e multilaterali”.
L’incontro, il secondo faccia a faccia fra i due presidenti, dopo quello in estate, a margine del G20 di Amburgo, potrebbe non restare un episodio isolato: Peskov precisa che Putin e Trump “avranno l’occasione d’incontrarsi più volte a margine del vertice, se lo riterranno necessario”. La delegazione americana è più cauta: il segretario di Stato Rex Tillerson non dà neppure per certo il colloquio a quattrocchi.
Sull’agenda, di cui Peskov nega l’esistenza, c’è senz’altro la Corea del Nord, un argomento costante della missione asiatica: ieri, il Cremlino apprezzava l’invito a cooperare e l’apertura a negoziare venuti da Trump, che però con il dittatore di Pyongyang, Kim, alterna da mesi il bastone e la carota. A Pechino, Usa e Cina paiono avere una linea comune: applicare le sanzioni dell’Onu e dialogare.
Si parlerà pure di Medio Oriente, dove Mosca ha di molto aumentato la propria influenza, a causa, o grazie, a seconda delle prospettive, alla decisione degli Usa di ‘tenersi alla larga’, salvo i raid aerei anti-Isis – e l’attacco alla base di Assad, in primavera, rimasto un fatto isolato -. Ma Usa e Russia s’affrontano nella regione per interposti alleati: Arabia Saudita e Iran sono ai ferri corti.
Con Trump, Putin potrebbe sollevare il problema delle sanzioni alla Russia per la vicenda ucraina, che azzoppano l’economia; e anche quello delle accuse di doping allo sport russo, che sono vissute come una congiura infamante. Si ignora, invece, se e come sarà affrontata la questione Russiagate, le interferenze russe ‘pro Trump’ nelle elezioni presidenziali dell’anno scorso negli Stati Uniti.
A Pechino, l’accoglienza è stata sfarzosa: Città Proibita, Grande Muraglia e poi l’incontro bilaterale a delegazioni allargate nella Grande Sala del Popolo. Xi e Trump hanno firmato accordi da 250 miliardi di dollari: non solo, o non soprattutto armamenti, come a Riad a maggio e a Tokyo e Seul, all’inizio della settimana. Il magnate presidente, che aveva impostato la sua campagna elettorale sulle accuse alla Cina ed era entrato alla Casa Bianca sbandierando il vessillo del protezionismo, afferma ora di volere relazioni “sempre più forti” con la Cina e mena vanto della “grande chimica”, cioè dell’ottimo affiatamento, con Xi. E l’enorme deficit commerciale? Passato in cavalleria.
Roba da mandare in archivio l’analisi che solo ieri Le Monde faceva della diplomazia di Trump, “isolazionista, realista e impulsiva”. Almeno fino al prossimo tweet abrasivo – ma il raddoppio delle battute disponibili, da 140 a 280, rischia di annacquare i cinguettii del presidente -. All’arrivo in Corea del Sud, c’è pure stato il siparietto d’un bacetto con la first lady, concertato, per evitare che Melania si tirasse indietro -.
Dagli Stati Uniti, passata la sbornia elettorale di un martedì nero per i repubblicani, inseguono Trump le critiche per il tentativo d’imporre la vendita della Cnn come condizione al ‘matrimonio’ fra At&t e Time Warner. Per i paladini della libertà di stampa, il presidente sta compiendo un abuso di potere: “Questo è il comportamento dei leader nelle dittature, non nelle democrazie”. A scuola ieri da Xi ieri, e oggi da Putin, Trump avrà pur qualcosa da imparare in materia. O è lui il maestro della museruola alla stampa?