Il governo belga, e tutto il Belgio, stanno ancora cercando di capire come e perché sia loro caduta tra capo e collo ‘sta grana catalana. Così, mentre la procura belga avvia la procedura “interamente giudiziaria” d’esame dei mandati d’arresto europei ricevuti dalle autorità spagnole, il ministro belga della giustizia Keon Geens sottolinea che la questione “non è politica, ma giudiziaria”. E spiega: “Al contrario di quanto avviene per l’ordine d’estradizione internazionale, la procedura di mandato d’arresto europeo non dà nessun ruolo al potere esecutivo. Sono esclusivamente contatti tra procure diretti”.
I mandati d’arresto europei giunti a Bruxelles sono 5: per Carles Puigdemont, deposto presidente della Generalitat catalana, e per i quattro ex ministri scappati con lui da Barcellona a Bruxelles. L’arresto è chiesto “ribellione, sedizione, distrazione di fondi pubblici e disobbedienza all’autorità”, fatti che in Spagna possono essere puniti con 30 anni di prigione.
Decidono i giudici, dunque; e lo fanno senza fretta. L’iter non avrà – s’apprende – tempi brevissimi. Dal momento in cui gli accusati vengono fermati e portati davanti al giudice istruttore, questi avrà 24 ore per prendere una decisione; e potrà stabilire di non spiccare un mandato d’arresto, oppure d’emanarlo ma concedendo la libertà condizionata. Se viene emesso un mandato, il dossier passa alla Camera di Consiglio del Tribunale di primo grado, che ha 15 giorni per decidere se il mandato possa essere effettivamente eseguito. Contro quest’ultima decisione possono poi presentare appello tanto l’interessato quanto la procura stessa. E il ricorso sarebbe valutato dalla ‘Camera di messa sotto accusa’, che avrebbe altri 15 giorni per prendere una decisione.
Passo dopo passo, è possibile che le elezioni catalane, indette per il 21 dicembre, arrivino prima che la procedura belga si sia conclusa. E, così, il presidente Puidgemont e i suoi ministri transfughi, mentre aspettano la convocazione davanti a un giudice, e si dichiarano pronti a collaborare, preparano le prossime scadenze politiche. Su Twitter, Puigdemont fa un appello a tutti i partiti politici catalani favorevoli alla secessione perché si presentino uniti al voto: “Per tutti i democratici è l‘ora di stare insieme. Per la Catalogna, per la libertà dei prigionieri politici – cioè gli otto ministri catalani incarcerati in Spagna, ndr – e per la repubblica”.
Non sfuggono, al Belgio e all’Ue, le contraddizioni di Puigdemont, come la mancanza di coerenza della fuga e anche dell’accettazione del voto del 21. Una volta proclamata la repubblica e l’indipendenza, il leader secessionista non dovrebbe più riconoscere come legittima un’elezione convocata dalla monarchia spagnola.
Fa pure discutere il fatto che Puigdemont accetti come spalla in Belgio l’ala più ‘fascisteggiante’ del nazionalismo fiammingo, che non ha nulla a che spartire con la tradizione politica cui suole richiamarsi la stragrande maggioranza degli indipendentisti catalani.
Né il governo belga né i nazionalisti fiamminghi moderati hanno finora speso una parola a sostegno di Puigdemont, al di là del rispetto dei suoi diritti; e non hanno offerto alcuna sponda a una richiesta di asilo non pervenuta. A Molenbeek, il comune di Bruxelles a più alta concentrazione musulmana, venerdì è stata vietata una manifestazione da parte di xenofobi fiamminghi e olandesi congiunti.
Il sabato spagnolo e catalano è il più calmo dell’ultimo mese. A Bruxelles, città non paragonabile a Barcellona per vivacità, Puigdemont rischia d’annoiarsi? Il maggior giornale in lingua francese, Le Soir, pubblica una “guida per catalani a Bruxelles” con consigli, in tre lingue, catalano, spagnolo e francese, su come trascorrere il fine settimana nella capitale belga: a fare da guida all’ex presidente, potrebbe essere il più noto catalano (di nascita) belga (di adozione), l’allenatore dei ‘diavoli rossi’ Roberto Martinez, che li guiderà ai Mondiali contro le ‘furie rosse’. Otto le tappe suggerite, spesso nel segno del passato talora conflittuale tra la Fiandre, patria di Carlo V, e la Spagna: come quando, il 5 giugno 1568, sulla Grand Place, Filippo II fece decapitare i Conti d’Egmont e di Hornes, fautori dell’indipendenza delle Fiandre dalla Spagna.